Lo storico francese Jacques Le Goff, parlando dell’annoso
dibattito sul futuro ingresso della Turchia nella Comunità
Europea, ha sostenuto che un nodo da sciogliere è ancora
quello del rispetto dei diritti delle minoranze. È un
problema attuale, come quello della minoranza curda, ma è
anche un problema storico: “da poco tempo, gli Stati e le
istituzioni riconoscono un certo numero di colpe del passato
e mi sembra indispensabile che la Turchia riconosca il genocidio
armeno”.
Il problema è nuovamente esploso con la deliberazione
del Congresso degli Stati Uniti (ottobre 2007) di riconoscere
lo sterminio armeno come un vero e proprio genocidio, sollevando
le proteste del governo turco.
Il pensiero corre ovviamente in primo luogo alla Germania e al
processo di “espiazione” per l’Olocausto, ma in
questo caso Le Goff sottolinea l’importanza di un evento
che fino a pochi anni fa era poco conosciuto all’Occidente
o, nei casi migliori, veniva visto come uno dei tanti esempi
della brutalità umana in un secolo per certi versi “estremo”
come il Novecento.
Lentamente, ma inesorabilmente il genocidio armeno è sempre
più conosciuto dalla parte più attenta dell’opinione
pubblica, inizia a comparire sui mass media. Basta pensare, in
Italia, al successo del libro di Antonia Arslan La Masseria delle
allodole, da cui i fratelli Taviani hanno tratto un film molto
intenso che porta lo stesso titolo (2007).
Locandina del film “La Masseria delle allodole”
http://www.zabriskiepoint.net/files/masseria.jpg
Come ha scritto in modo semplice e diretto C.Mutafian nel
1995 “il genocidio degli armeni, il primo del secolo, è
avvenuto ottant’anni fa in Turchia con lo scopo di ‘liberarla’
dalla presenza armena. Se si esclude la piccola, ma importantissima
comunità di Istanbul, l’obiettivo fu raggiunto. Il
genocidio nel 1915 è perciò anche la prima ‘pulizia
etnica’ di un secolo che chiude il millennio con altre ‘pulizie’
orrende”.4
Lo sterminio del 1915 – 1916 fu l’effetto in primo
luogo del nazionalismo dei Giovani Turchi, ma covava da lungo
tempo l’odio del governo turco contro gli armeni, presenti
in modo massiccio nelle province dell’est dell’Anatolia
(in particolare nei vilayet di Van, Bitlis, Erzerum, Dyarbekir,
Kharput, Sivas), in Cilicia, sul Mediterraneo, e ad Istanbul
dove prosperava una consistente comunità armena. Contrapposizioni
profonde che scaturivano anche da motivi religiosi (la popolazione
armena era, per la quasi totalità, cristiana, un’isola
nel mare musulmano) e politiche, in quanto erano in buona parte
russofili, data la vicinanza della Russia a cui erano legati
da motivazioni culturali e religiose. Un popolo che per secoli
aveva mantenuta intatta la propria identità: un capro
espiatorio perfetto un impero che veniva considerato, nella seconda
metà dell’Ottocento, il “grande malato d’Europa”.
Un primo motivo di rivalsa dei turchi sugli armeni fu l’esito
della guerra turco- russa del 1877, conclusasi con la vittoria
dell’Impero zarista. Durante il conflitto, il popolo armeno
accolse i russi come liberatori, tanto più che molti ufficiali
di origine armena era arruolati nell’esercito zarista. Già
in quest’occasione avvennero massacri di famiglie cristiane
da parte di irregolari curdi, ma era ancora poca cosa rispetto
a quanto si verificò in seguito.
La Russia impose alla Turchia l’umiliante Trattato di Santo
Stefano (3 marzo 1878) che, oltre a privare l’Impero Ottomano
di buona parte dei propri possedimenti europei, poneva una sorta
di “protettorato” russo sopra la minoranza armena (articolo
16) e che doveva impegnare i turchi ad applicare “i miglioramenti
e le riforme imposti dalle necessità locali nelle province
abitate dagli armeni e a garantire loro la sicurezza contro i
curdi e i circassi”....continua nel libro |