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9788866150831

IL PONTE DELL'ARCOBALENO p. 84 € 10,00 17x21 Ill. 5 Bross. Collana Nuovi Autori n. 33

 

LEZIONI DI MAFIA

Dedico queste lezioni a Rita Atria, siciliana ribelle, collaboratrice di giustizia, morta suicida a diciotto anni, dopo l’assassinio del giudice Borsellino, suo padre di elezione, nella strage di via D’Amelio.
Rita è all’inizio mossa da un sentimento di vendetta, perché le era stato ucciso il padre, che considerava un eroe che invece era un mafioso, quando lei aveva undici anni. Verrà ucciso anche il fratello, che cercava la vendetta, ma intanto faceva affari con i mafiosi. Dopo che la cognata era diventata collaboratrice di giustizia, anche Rita fa dei nomi. Ed proprio a contatto con il magistrato donna che la interroga, con il giudice Borsellino, che la aiuterà e assisterà, con gli uomini della scorta, che Rita scopre un nuovo stato e trasforma il suo desiderio di vendetta in un desiderio di giustizia.
Purtroppo, dopo la morte di Borsellino, Rita viene lasciata sola, intanto che viene montata contro di lei, la solita “macchina del fango.” Viene rinnegata dalla sorella e dalla madre (“meglio morta che infame”), che dice di non averla voluta (forse, si capirà poi, perché non nata da un atto d’amore, ma dal rapporto con un uomo violento). È ormai uno stato inetto e incapace, quello che avrebbe voluto rimandarla a Partanna, il suo paese, dove aveva fatto mandare in galera tante persone.
Da morta non avrà un funerale. La famiglia cercherà di giustificare questa scelta con “motivi di sicurezza;” precipitosamente, il sacerdote, che presiede alla sepoltura, chiederà che sia perdonata da Dio per aver fatto del male a tanti padri di famiglia.
Rita aveva la certezza che la Mafia l’avrebbe trovata e che sarebbe stata più scomoda da morta. Ma è devastante pensare che viva perché è morta, come per Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino.
Perché anche il suo sacrificio abbia un senso, bisognerà superare la retorica del ricordo e fare memoria, farne un simbolo di lotta e non solo di pietà, dando voce alle pagine dei suoi diari, che costituiscono il suo testamento:
«Cosa si può fare per combattere la Mafia? Andate fra i ragazzi di Mafia e mostrate loro che c’è fuori un altro mondo.»
«Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognarlo? Forse, se ognuno di noi prova a cambiarlo, forse ce la faremo.»
«Non dobbiamo arrenderci mai.»
«La Mafia siamo noi, con il nostro modo sbagliato di comportarci, perché condizioniamo l’economia con il nostro voto, con il nostro clientelismo…Parlo della Mafia dei colletti bianchi.»
Credo che quello che dobbiamo fare, per cercare di essere coerenti, è trovare nelle sue parole le nostre contraddizioni e superarle attraverso il nostro impegno, dando vita a progetti sociali e didattici, per strappare i ragazzi dalle famiglie e dalla mentalità mafiosa. Dobbiamo portare all’esterno, anche se è faticoso e pericoloso, queste convinzioni, non solo in nome della legalità, ma della giustizia.
E non sarà un compito facile.


La parola Mafia deriva probabilmente dall’arabo e significa aggressività, violenza, prepotenza.
Storicamente si riferisce ad un particolare tipo di organizzazione criminale.

Quando è usata senza aggettivi ci si riferisce alla Mafia siciliana, potente organizzazione criminale che ha un consenso sociale (attraverso l’omertà e il silenzio), e che costruisce relazioni illecite con la politica, le istituzioni, l’economia, cioè intreccia rapporti con persone che dovrebbero combatterla: magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, funzionari pubblici, politici, preti. La Mafia reinveste i soldi accumulati con la violenza nell’economia legale.
A livello popolare e divulgato dalla Mafia stessa come sua giustificazione, ma anche da parte di alcuni scrittori, tanto il fenomeno è complesso, si è diffusa l’idea di una Mafia di tipo romantico, che usa poco la violenza, è rispettosa dei più deboli, non tocca le donne e i bambini, e si sostituisce ad uno stato assente, offrendo giustizia e lavoro. Questo tipo di Mafia non è mai esistita.
Infatti il mafioso, come il bullo, è un prepotente che pretende rispetto e vuole essere temuto.
Secondo rituali ben precisi, i mafiosi sono legati da un giuramento che diventa un obbligo eterno (è questa la famiglia che non si può tradire); a loro la Mafia chiede di essere obbedienti e spietati e di non attirare l’attenzione su di sé, per raggiungere lo scopo di arricchirsi e di esercitare un completo potere sul territorio.

 

 

9788866150831

IL PONTE DELL'ARCOBALENO p. 84 € 10,00 17x21 Ill. 5 Bross. Collana Nuovi Autori n. 33

 

IL PONTE DELL'ARCOBALENO

 

Dice un'antica leggenda indiana che si entra nei Pascoli del Cielo dopo aver attraversato il Ponte dell'arcobaleno, chiamato così per i suoi colori meravigliosi, e dove l'erba è fresca e profumata, e c'è sempre cibo buono e il sole splende caldo.

Qui arrivano tutte le bestiole che sono state particolarmente amate; quelle deboli, mutilate, ferite, ammalate, tornano integre e piene di forze, e qui giocano e si rincorrono felici. Eppure, continua ad essere, in loro, come un velo di tristezza, ed un'atmosfera sospesa... finché un giorno, si fermeranno improvvisamente, con gli orecchi tesi, con tutti i sensi all'erta, con gli occhi buoni e fiduciosi, con il capino voltato in attesa.
Perché è giunta la persona amata, e mai più si separeranno. Allora, insieme, l'uno accanto all'altro e pronti a giocare per sempre, attraverseranno il Ponte dell'Arcobaleno.


Anche gli adulti hanno bisogno di favole e di fiabe per esprimere al meglio i loro sentimenti, le loro passioni, le loro speranze e magari le loro delusioni...
Ma tutto per lasciare un segno come l'artista sulla tela, spinti dalla necessità di creare un' emozione da condividere con i lettori.
È un dialogo con due, tre, quattro cento.... e molti altri lettori che si lasciano coinvolgere, nel misterioso mondo della fantasia, dove tutto è possibile, ma anche no.
Dove la realtà sbuca da ogni capoverso come il “signor coniglio” di Alice che costringe il lettore a seguirlo per vedere come va a finire anche per la nostra innata curiosità ancestrale, senza pensare mai alle conseguenze...
Il mondo di Loretta è un mondo composto da minutissime gocce, che molte volte sono lacrime, ma che il sole trasforma in uno sfolgorante arcobaleno di colori, che può essere visto da molto distante, e di fronte al quale rimaniamo estasiati, e quando si dissolve lascia un noi una profonda nostalgia e tristezza.
Allora comprendiamo che la leggenda che dice: “dove finisce l'arcobaleno c'è sempre una pentola d'oro” è vera. Giacché, in fondo ai suoi racconti, c'è qualcosa di molto più prezioso dell'oro fino: la sapienza di una vita.

 

 

 

 

 

 

 

 
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