La Pagina di: Marco Simoni

 

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9788889971291
Simoni Marco, Poesie, p. 230 ill. autore €18,00 Bross., Poesia n. 8 2008.

 

EPOS

Dello schizoide narro l'èpiche gesta,
della terra calda lo sbocciare dei fiori,
dell'uva dai rami, la storia dell'Uomo;
narro l'Amore e il dramma del Bene
ne l'altalene che muovono il mondo.

Senti come strilla il poeta: vestito
di stracci li vende come stoffe di seta.
“Oh my Heart maldito” e scuro!
Vuoto il ritmo e troppa fretta.
Altrove il pensiero. Se vuoi poesia
altro nel cuore non c'è. Così
nell'amore la vita nasce
(non lo scenario)
solo se il cuore
altrove
non
è.

NUDO LAMENTO
nella COLTRE del NULLA: metamorfosi

Breve è il tempo nella coltre del nulla
e più lo psicofarmaco non basterà
alle tagliate radici,
my fair dolcissima lady ....
....
Quando mi troverai, dormendo
già trascorso avrò sogni e desideri.
Di un serico manto coperto
di sereno sarò, né ti vedranno
i miei occhi: caricato avranno
di altrove la mente e se sconfitta
infliggerà di nuovo alla morte
ci sarà una vigna saracena.
....
O cara
che passi
me dormente
muti gli occhi nel serico manto,
non distrarre il cuore dal mio lamento!
e resta nelle sapide uve
che si bagnarono di lacrime
morendo.
Sempre le conforta
un mover di foglie
commosse
ogni sera
al tramonto.


SE IBA EN SUEÑO: framm.

Se iba en sueño a bailar
la niña mujer cantando
!oh madre que yo me muero!
y volverà en nuevas vestes
blancas, y los hojos tenia
quemados de llanto. Il y a
hors de la ville un champ
de fleurs piétinées varcando
l'orrida roggia d'agosto
e si ferma alla soglia del dirupo
che inaccessibili terre sprofonda
cariche di sogni infranti e di ricordi
piangenti pazzi come
il dolore di lama di fuoco
nella ferita languente; oh sì
!que yo me muero!
all'inutile vita sperando
che il tempo sia breve,
mia pequeñita amata in sogni
remoti. Nunca mas tu eres
con migo dolce terra del puro
amore assoluto, dell'amor “novo”
col volto del rischio mortale
per i deboli accesi di fuoco.
Se iba en sueño a bailar
la niña mujer e mi diceva irata
come uscendo da un'icona santa
che fui io e mentiva pur
con gli occhi bruciati di pianto.


BARATTI '56

....al '56 Baratti ancora
lo abitavano le Fate, strideva
nel tholos a maggio lo sciame
finadolescente e poi tra le sacre
reliquie un attento stupore
scienza no, ma domanda sul mistero....
.... quando di notte la notturna luna
spazzava i cieli firmamenti si
facevano, le donnole, guardinghe
mischiando le acque del fonte; sui
luminescenti prati modulavano
in estro ululati le cagne: noi
giungemmo più volte alle tue rive
con le naiadi anadiomene
e le amadriadi già cotte dal
sole estuante; e il cuore d'agnello
nelle fragili
infantili mani,
raro tornava
con un po’ di sereno
ma incantava la notte
alla Fonte delle Fate,
galoppava
with the riders of te sky....

*

..... egemonia oggi di curiosità
di campers spocchiosi di scafi scattanti:
la lepre arresta nei boschi,il cuore
è valente gladiatore, San Cerbone
attende la luna per pudore, ma
il sacro ancora rimane.

Una mano
l'ha salvato.
Non lo pensare turista:
povero o ricco, altrove il nemico
è se rimane ostile al ricordo
d’un’incontaminata humilité.

 

 

 

 

 

 

POESIE

Il poeta è morto. È morto ad aprile (au printemps) come aveva previsto. È morto senza poter dare una sistemazione definitiva(?) alle sue opere; e di questo si rammaricava soprattutto, quando capì che la sua sorte, segnata da tempo, non gli avrebbe lasciato che pochi giorni. E anche questi in una quasi totale impotenza, ricoverato in ospedale con tubi al naso e alle braccia. Rimpiangeva di non avere ancora un anno, per sistemare i suoi figli (così chiamava le sue poesie) e mi pregò di non lasciarli orfani, di prendersi cura di loro.
Liquidò velocemente tutto il resto, con un testamento che assegnava in beneficienza tutti i suoi beni; con un paio di incontri con un sacerdote e poche parole a chi gli faceva visita. Solo la mia presenza gli interessava (non lo dico per vanità) e anch'essa solo per parlare delle sue poesie, per aiutarmi a capire, con incontri quasi quotidiani di qualche ora, in cui parlava con affanno, ma volando alto col pensiero, lucido, logico, senza compromessi. Ed io, soprattutto, facevo domande e ascoltavo, affascinato da quel mondo che mi proponeva, e insieme addolorato per quel corpo che si degradava un pò ogni giorno, fino a quando, senza che neppure io potessi prevederlo, all'improvviso lo trovai stravolto e lontano in un coma che durò due giorni, in cui l'unica cosa che potessi fare, era offrirgli la mano, che stringeva forse d'istinto.
Poi il poeta è morto. Il poeta, io non ho dubbi; e questa sola parola ho fatto incidere sulla sua lapide, quasi a gridare con forza uno “status” che mi sentivo in grado di tributargli, dopo avere passato la vita nelle aule di liceo spiegando ai giovani cos'era la poesia e cos'era un poeta. La mia professione e gli studi di una vita mi autorizzavano ad insignirlo di quel titolo, che egli era certo di meritare.
Negli ultimi anni, trasandato nell'aspetto (anche per la malattia, ma non solo), capelli lunghi, barba per lo più incolta, ventre gonfio, vestito sciattamente, con lo sguardo febbrile, poteva sembrare un “poeta maledetto”; e poeta lo era; maledetto no, anzi.
Partito dalla fede, in un itinerario complesso e contorto, era approdato al marxismo e, quindi, al materialismo, impegnandosi in politica nelle file del PCI. Poi, dopo anni, aveva rotto con i compagni; si sentiva tradito, incompreso, addirittura perseguitato (una vera e propria psicosi di cui non sempre aveva chiarezza) e si era allontanato da quella esperienza politica ed era ritornato alla fede nella sua accezione più intensa.
Ne discuteva con profondità, mostrando la sua ricca competenza filosofica, argomentando con Platone, Plotino, Kant, Hegel, ma anche con non minore competenza letteraria, con Dante, Petrarca e molti autori più vicini ai nostri tempi, verso i quali si sentiva debitore nel suo fare poesia, fino a Dino Campana, che nella sua mente era divenuto un compagno di sventura, un fratello o, addirittura, un suo alter ego.
E di poesia parlava, con una padronanza altissima, citando i Greci e i Latini, intriso di una cultura classica (letteraria e filosofica, come ho già detto) vissuta e verificata sulla propria pelle .
E negli ultimi due anni della sua vita, quando il male glielo concedeva, conciato come un barbone, cercava riconoscimenti al suo lavoro di poeta (che per lui era dare un senso a tutta la sua vita; altrimenti il nulla).
Proponeva sillogi delle sue poesie, libelli da lui confezionati, a quelli che riteneva avessero i crismi per una approvazione, ma non l'ottenne; non fu capito; e di questo soffriva.
Io solo gli davo un pò di spazio (solo un pò perché in passato temevo le sue “logorroiche” disquisizioni, che a volte mi tenevano per ore al telefono).
Sapevo che si era dilettato a scrivere poesie in gioventù come tanti, ma non sapevo che avesse fatto di quello il motivo della sua vita. Quando cominciò a propormi le sue opere ero prevenuto ed un pò infastidito, ma quando cominciai a leggere con attenzione quei dattiloscritti (che egli sapeva tutti a memoria e recitava intonandoli, con estrema attenzione ai piani, ai forti, ai silenzi, alla musicalità) cominciai ad entrare in un mondo meraviglioso, che più leggevo più riuscivo a comprendere, facendo ricorso a tutta la mia preparazione professionale, e attraverso i miti di Icaro o di Orfeo, di Sisifo o di Tantalo, penetrai nel vissuto interiore di quel mio grande amico, originale, moderno, classico, profondo, vivo, emozionante, studiato e sincero fino all'assoluto.

Ma che genere di poesie sono quelle di Marco? Lirica, nella sua molteplice e più pura accezione. La storia di un’anima (per dirla con Leopardi), delle sue più intense emozioni: gioie, dolori, intuizioni, scoperte, spaventi. Varia, ma studiatissima nella prosodia e nella metrica (anche quando sembra dimessa), ricca di inflessioni e di echi, ma insieme originale. Ed anche in lingua straniera, specie inglese, spagnolo, francese (a parte riferimenti in latino e in greco).
Ma è, prevalentemente, poesia d'amore, amore-passione per una donna, per la donna. In paesaggi boschivi o urbani, rarefatti o oppressivi, demoniaci o edenici. E gli astri, e il cielo e il mare. È una poesia ricca di simboli e di referenze mitiche (e il mito e la sua interpretazione sono alla base dell'interpretazione della poesia stessa).
L'amore che anela al possesso. lo sogna lo cerca, lo consuma. Ma è un amore impuro, è male, è colpa, è peccato. Manca del crisma della santità, e allora è angoscia, tormento, un grido ripetuto di disperazione. La donna affascina, ma è chimera, è inganno, è contaminazione .
Ecco il miasma per cui si cerca invano, disperatamente un lavacro, una purificazione.
In questi amori, in questi mondi ci sono gli scacchi dell'infanzia, le illusioni tradite della gioventù, la maturità scoperta e persa, l'angoscia dolente e il sogno della morte.
Ma anche uno spiraglio di salvezza, lontana quanto il cielo, forse raggiungibile quando, dopo l'esistenza terrena, questo platonico rispecchiamento imperfetto e larvale, la Vita arriderà in pieno, il poeta ritroverà sua madre nel giardino dell'Eden, in mezzo a luce e a fiori perenni.
La madre, a cui dedica alcune delle ultime liriche, con una dolcezza disperata, con un amore, quello sì sacro.
Quest'uomo incompreso che con angoscia si definiva

Sentiva di aver sbagliato la sua vita. Sentiva di avere delle qualità ma di non aver saputo trovare un giusto rapporto col potere, di aver subìto uno smacco in gioventù (Icaro maledetto), e poi altri e altri per tutta la vita. Ogni cosa dominata dal consumo, dall'inganno della necessità, dall'inquinamento della mente e del cuore.
E la poesia come unica via di salvezza, e di riscatto; conquistare uno “status” dignitoso; essere saggio e poeta, cogliere e tramandare la verità a un mondo pronto a cadere in un nuovo olocausto, dopo i tanti della storia.
Un poeta “romantico” in fondo, alla ricerca della parola che possa salvare il mondo, dell'infinito che possa essere percepito e conquistato, forse goduto.
La malattia (mentale) è spesso richiamata nei versi, in una coscienza “amara”, ma circoscritta. Un altro male, quello “di vivere”, è presente in filigrana in tutta l'opera. E il sentirsi escluso, emarginato, rifiutato da un mondo crudele, cinico, dove i puri passano per inetti, per incapaci, se non per mascalzoni. E il mondo miscela inesorabilmente le sue primavere, lo smalto dei colori, la vita vegetale e animale, innocente e accogliente con l'azione dell'uomo, con l'alienante e perversa crudeltà che produce màrtiri; e in questi il poeta si riconosce, sperando un premio anche in questa terra, se giustizia trionfasse, ma certo nell'altra, in quella perfetta e “vera”.
Le poesie sono un “corpus” ampio e complesso, frutto di un lavoro di tutta la vita, sono “il lavoro” di una vita, quello che riscatterà il poeta agli occhi di tutti. È più che una speranza, è quasi una certezza. E per questo sono curate con un amore quasi spasmodico nel lessico, nella ritmica, nel suono, oltre che nel contenuto. Il linguaggio è ora alto e solenne, ora ironico e piano, ora spezzato e gridato, ora calmo e luminoso; vario, insomma, come è in ogni vero poeta. E non si prendano per errori di stampa o per limiti di competenza grammaticale certi costrutti, che sono sempre frutto di scelte consapevoli.
Le donne centrali nella storia di questo amore, grande e travagliato (a parte archetipi giovanili e talvolta adolescenziali) sono due. La fidanzata- moglie, accarezzata, prima, sognata e celebrata, rinnegata poi per difetti e per crimini (forse, in realtà solo suoi, del poeta, inconsciamente perpetrati e subiti) e l'altra (l'amante), con cui esperimenta l'iter conoscitivo dell'uomo nel rapporto con la dimensione femminile. Boschi e spiaggie (reali, biografici) col sole e con la luna, in incontri furtivi e dirompenti, nell'esplosione del sesso e nell'annichilimento della colpa, della impurità, nell'assenza del Bene. Nella sconfitta ripetuta all'infinito. Nella caduta, ancora una volta. Fino a che non ci si può più rialzare, se non recuperando la purezza perduta.
Le poesie sono state composte nell'arco di tutta la vita, anche se solo alcune riportano l'anno di composizione. Ma sono state poi utilizzate in contesti strutturali che prescindono completamente dal periodo di composizione. Il poeta ha fatto alcune sillogi (con l'intenzione di farle leggere, come ho detto), ma occasionali e anch'esse non rigorosamente cronologiche e nei sei volumetti che mi ha lasciato, ritornano tutte (escluse poche cose giovanili, palesemente modeste, accademiche) in una successione logica, che ne fa un canzoniere, una storia di un’anima, che prescinde dall'anno di composizione. Diverse liriche, poi, sono presenti, identiche, in più contesti da cui non possono essere separate; il che mi ha indotto a riportarne solo il titolo, dopo la prima volta in cui compaiono, rimandando per la lettura alla stesura completa presentata in quella sede, per non ripeterle.
E non sono, si badi bene, delle varianti d'autore. Esse sono scritte nello stesso identico modo, spesso riproposte in fotocopia.
Delle poesie più antiche penso che abbia conservato solo quelle che considerava “riuscite”, capaci cioè di rappresentare ancora validamente un’esperienza significativa anche negli anni della sua maturità artistica.
Dunque sei volumetti, sei quaderni adattati da lui a volumetti, con titoli (e talvolta sottotitoli) per ciascuno, con disegni, alcuni ripetuti ossessivamente, di sua mano e qualche riproduzione grafica di opere altrui, a comiciare dalla crocifissione di Gauguin, che fa da copertina al primo volumetto (e alle diverse sillogi di cui abbiamo parlato).
Un Cristo nel quale evidentemente, si identificava (solo nella dimensione del martirio ovviamente). Perché martire si sentiva per sua e/o per altrui colpa (come risulta dal “logo già riportato a pag.10.
E neanche la successione dei volumetti è certa. Non ho fatto in tempo a farmela dire. Quando, dopo discussioni ampie e prolungate su singole poesie, o su brani, o su temi e problemi, capii che il suo tempo a disposizione stava per scadere, (prima pensavamo entrambi che avremmo avuto molto più tempo per parlare anche di questo) ci provai,ma era troppo tardi. Sicuramente so che il primo doveva essere “Lisola dei Melograni” e l'ultimo “Nuovo olocausto” Per gli altri ho dato l'ordine che mi è parso più logico nello sviluppo lirico narrativo.
L'autore ha scritto, tra l'altro anche una introduzione ad una poesia (non abbiamo parlato), che può essere assunta a introduzione se non generale, almeno parziale di un filone che attraversa tutta l'opera, la difficoltà a relazionarsi con la donna e l'inizio della malattia mentale.

Rinaldo Bartaletti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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