La Pagina di: Arrigoni Tiziano, il delitto Matteotti

 

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9788866150534

AA. VV. cura Tiziano Arrigoni I DUE DELITTI MATTEOTTI p. 80 ill., A5 --- € 9,00 Bross. Bib. Del '900 n. 20 2013

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I due delitti Matteotti

Il severo ritratto di Giacomo Matteotti, stilizzato, scontornato, dotto ad icona, fu per la generazione degli italiani antifascisti durante il Ventennio fascista ed anche nel secondo dopoguerra, un simbolo paragonabile a quella che è stata in seguito l’immagine di Che Guevara. Tenere la sua fotografia nel portafoglio o riposta in un cassetto nella propria abitazione era un piccolo segno di ribellione (che a volte poteva costare caro) o di affermazione di un’identità antifascista che andava oltre le appartenenze partitiche. Era come se la tragica fine del giovane deputato socialista, barbaramente ucciso dai fascisti nel 1924, avesse congelato la sua intera, anche se breve esistenza.
Nato a Fratta Polesine (Rovigo) il 22 maggio 1885, giovane e colto avvocato, appartenente ad una facoltosa famiglia di proprietari terrieri, si convertì alle idee socialiste ed alla causa del proletariato. I suoi avversari politici lo definivano con disprezzo lo «stramilionario» o «paron Matteotti», mentre lui si batteva per migliorare le condizioni delle miserabili masse bracciantili del Polesine, una delle aree più povere dell’Italia centro- settentrionale. Il suo amico A. Parini lo ricordava sempre presente dove vi era un impegno, anche modesto: «in automobile, in bicicletta, a piedi, col mezzo più opportuno non importava se pioveva a dirotto. Bisognava andare dove si era promesso e dove si era attesi. Qualunque letto, poltrona o fienile serviva per il breve riposo. Poche fette di salame e un po’ di pane».
Matteotti, oltre ad essere un valido studioso di diritto, era un socialista riformista coerente, quasi estremista, anche se i termini possono apparire contraddittori: il suo socialismo era, infatti, maturato nelle cooperative, nelle leghe contadine, nelle amministrazioni locali; per lui il socialismo era soprattutto un fattore di civiltà, la cui scomparsa avrebbe segnato anche la fine della democrazia in Italia.
Coerente neutralista durante la prima guerra mondiale, fu un altrettanto coerente antifascista: eletto deputato nel 1919 e poi nel ’21, vide nel fascismo la reazione di una borghesia agraria gretta e conservatrice che non voleva perdere i propri privilegi e che era quindi pronta a scatenare le violenze più efferate contro i lavoratori e le loro organizzazioni.
Uomo di grande coraggio personale (era stato più volte aggredito dai fascisti), era uno dei leader emergenti del socialismo italiano (non aveva neanche quarant’anni quando morì) e, dopo la scissione del PCd’I del ’21 e la fondazione del Partito Socialista Unitario (PSU) di matrice riformista, era divenuto segretario di quest’ultima formazione. In questo ruolo aveva combattuto la sua battaglia antifascista, divenendo una delle punte più attive dell’opposizione, contrario ad ogni cedimento verso il nuovo governo fascista, che cercava di attrarre gli elementi più moderati dei riformisti nella sua orbita.1Le elezioni del 6 aprile 1924 si svolsero in un clima di violenze diffuse e di illegalità, con una legge elettorale a carattere spiccatamente maggioritario (legge Acerbo) che finì per favorire il «listone» dei fascisti e dei loro alleati conservatori.
Il celebre discorso del 30 maggio pronunciato da Matteotti per denunciare i brogli elettorali ed annunciare un’opposizione dura al governo, fu preso malissimo da Mussolini che voleva da una parte allargare il suo già ampio consenso addomesticando l’opposizione se possibile, altrimenti schiacciandola con tutti i mezzi, anche quelli illegali.
Di questa fase difficile ed eroica abbiamo una testimonianza di Mario Berlinguer (Sassari 1891- Roma 1969), allora giovane deputato di opposizione per la lista democratica- liberale di Giovanni Amendola...

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