Doppio riflesso

racconto di Francesca Bianchi

 Scrivete il vostro voto o le vostre opinioni nella nostra casella di posta provvederemo poi a metterla sul Web

labancarella@interfree.it

voto .. 

 

 

 HOME

 

Il capannone risplendeva nella luce del mattino come se fosse stato tirato a lucido di recente, con le grigie lamiere ondulate precisamente allineate, a formare un grosso parallelepipedo incastonato nella vallata , coltivata a girasoli, l’unico punto colorato nell’immensità verdeggiante che circondava la fabbrica di utensili.
All’interno si udivano suoni ritmati di martelli e seghe impegnati nella lavorazione del ferro, vetro ,legno e un ‘infinità d’altri materiali, mentre gli operai canticchiavano stonando canzoni d’altri tempi o discutevano sugli ultimi eventi del paese distante un paio di chilometri


Tra un vociare e un ritornello, saettavano risate soffocate e richiami di capisquadra attenti alla produzione, che non badavano molto alla distrazione di questo o quell’altro operaio; l’importante era la buona riuscita del lavoro, e per fortuna i risultati ottenuti facevano sperare nella solita giornata tranquilla, senza rilevanti imprevisti.
Non si erano mai verificati casi d’insubordinazione, il personale era esperto e attento, gli apprendisti s’impegnavano assiduamente e il tutto creava un’armonia veramente straordinaria.
La fabbrica, formata da un unico ambiente spazioso, ospitava circa trecento addetti suddivisi in trenta squadre specializzate, ciascuna si occupava della lavorazione specifica di un prodotto, in tutta la sua fase di lavorazione, dalla materia prima all’utensile finito; ogni caposquadra aveva nove operai, tra i quali tre nuovi apprendisti reclutati ogni cinque anni tra i giovani del paese, che andavano a sostituire gli anziani del gruppo prossimi alla pensione.
Essere scelti dagli esaminatori della fabbrica era considerato un fatto di grande prestigio, non solo perché una volta entrati nel ciclo produttivo si raggiungeva una certa posizione sociale, ma anche perché i criteri di selezione erano particolarmente severi , e questo faceva si che i prescelti avessero nomea di affidabilità, correttezza, senso pratico e spiccate doti manuali.
Inoltre, una volta conclusa la loro vita lavorativa, magari come caposquadra, avevano un facile accesso alle più alte cariche direttive e rappresentative della comunità.
Una volta scelti gli apprendisti venivano suddivisi in base alle loro caratteristiche fisiche più vicine al tipo di prodotto che avrebbero lavorato: quelli di legno sarebbero diventati legnaioli, quelli costruiti in ferro avrebbero lavorato nel reparto ferramenta, coloro che erano di vetro o di specchio in vetreria ….
Il nostro paese infatti, aveva come abitanti degli strani oggetti a forma di cucchiai, piatti, stoviglie,arnesi, suppellettili, ciascuno dei quali aveva braccia, gambe, naso, bocca ,occhi proprio come le persone in carne ed ossa, solo che al posto dei piedi i cucchiai avevano delle piccolissime forchette a cinque punte, così come le mani, ed erano articolate e prensili come se fossero state umane.
I piatti avevano gambe e braccia di porcellana, come quelle delle statuine, al posto del naso il beccuccio della teiera come occhi, due bicchierini per le uova a la coque.
C’erano mestoli di legno senza le gambe, appoggiati a dei sottobicchieri in sughero, infatti si spostavano saltellando qua e là e lasciavano delle orme rotonde sul terreno.
A volte nei giorni di pioggia capitava di vederli imprigionati nel fango, fino a che qualche passante non andava a liberarli, così che , nelle giornate particolarmente piovose, quando il terreno non era altro che un acquitrino colloso, erano esonerati dal recarsi al lavoro.
L’operai caffettiera si spostavano pattinando su rotelle tagliapasta, disegnando delle scie dentate al loro passaggio, mentre sopra il coperchio stavano due tasti della macchina da scrivere con la lettera O al posto degli occhi e afferravano gli oggetti con delle pinzette per le sopracciglia.
Erano addetti alla fabbricazione di altri esserini a forma di moka o di simpatici pentolini con la bocca di bullone, il naso a vite e come occhi delle piccolissime lampadine accese.
Questa strana fabbrica era la nursery di quello strano mondo dove gli oggetti prendevano forma propria e vita autonoma, soddisfacevano tutte le richieste di tutti i paeselli e le città di quella popolazione di utensili; come nel nostro mondo infatti, dove ci sono le persone nere, rosse, gialle, anche lì ogni città aveva delle caratteristiche somatiche diverse, mescolate tra loro, in pace o in guerra.
Da matrimoni misti potevano venire fuori oggetti di più materiali, in parte di vetro, in parte di ferro, oppure di plastica; solo che i bambini erano commissionati alla fabbrica dei nascituri, dove si studiavano le caratteristiche fisiche dei due futuri genitori e si produceva la loro simbiosi.
Immaginatevi quanto lavoro ci potesse essere e quanto fosse considerato importante!
Quello strano mondo non era molto lontano dal nostro, anzi era solo a pochi passi, ma non era visibile al nostro, si trovava spostato solamente un po’, tanto quanto il confine tra la realtà e il voler credere che ci possa essere veramente.
Il paese attiguo al capannone quell’anno aveva scelto un apprendista molto particolare, sia per la sua forma , sia perché aveva sorpassato tutti gli scrutinati che si erano presentati in fatto di bravura.


Suo nonno, una vecchia pentola a pressione dotata di ruote giocattolo cingolate , aveva sposato una sveglia che aveva come occhi due specchietti da cipria, e dalla loro unione era nata la mamma del giovane apprendista: uno specchio ricurvo con un’elegante bordatura d’acciaio inossidabile e come bocca,una valvola di sicurezza, ereditata dal babbo pentola a pressione.
Questa figlia , a sua volta, si era innamorata e aveva sposato uno specchietto retrovisore con le gambe a forma di chiave inglese e due cavatappi al posto delle braccia; agli occhi di tutto il paese era una coppia così bella, ma così bella da richiedere addirittura il lavoro straordinario di due squadre d’operai specializzati per la costruzione del loro figliolo, arrivato puntuale poche settimane dopo la commissione, lucido, brillante, nuovissimo,un incanto a vedersi, uno spettacolo di tecnica e bravura, l’orgoglio dell’azienda e della famiglia.
Venne chiamato Doppio Riflesso.
Aveva infatti, come capo, uno specchio a doppia faccia, di quelli che riflettono le cose normalmente da un lato e lo ingrandiscono dall’altro e quando faceva roteare sul perno la sua testa , mandava bagliori bellissimi riflettendo la luce e le immagini, che lui poteva vedere in due modi, a seconda di quale faccia adoperasse.
I suoi occhi erano due lenti a contatto colorate di giallo, così come il naso e la bocca e li aveva su entrambi i lati della faccia, così da potere vedere sempre le cose normali o ingrandite.
Le sue braccia erano eleganti forcine madreperlate e le gambe, lunghe molle argentate con due monete esagonali alle estremità.
Naturalmente tutti stravedevano per lui e non appena ebbe l’età adatta fu portato alla fabbrica e sottoposto al primo test di prova.
Ora, non che lui non fosse contento di entrare a lavorare con una mansione così importante, quale sarebbe stata quella di dare forma ad altre vite, ma visto il suo modo di vedere le cose, in altre parole sempre da due punti di vista diversi, aveva anche molti dubbi sul da farsi e specialmente si chiedeva se quel doppio mondo visto da lui, avesse anche un altro aspetto.
In pratica per lui, le cose avevano sempre due forme e non sapeva mai quale potesse essere più vicina alla realtà.
Domandarlo agli altri non aveva senso, per loro gli oggetti o erano grandi oppure piccoli, distanti o vicini, e del resto non li potevano vedere diversamente.
La prima domanda gli fu rivolta da uno dei veterani, un grosso martello- telefono- posacenere, il quale sollevando la cornetta, con voce metallica gli chiese:
«Bene Doppio Riflesso, sapresti dirmi brevemente quale dovrebbe essere il tuo scopo qui con noi?»-
Papà e mamma, in disparte, ascoltavano trepidanti la risposta del figlio, sperando di sentirgli pronunciare le parole giuste.
«Io credo..dovrei aiutare i genitori ad avere qualcuno da accudire, da crescere, che li compensi e li unisca, un ibrido tra i due, un terzo elemento con le caratteristiche di entrambi, almeno a vedersi ».
Quest’ultima frase gelò l’interlocutore.
«Come solo a vedersi?che volevi dire?».
Doppio Riflesso si girò verso i genitori interdetto e fece per controbattere, ma intervenne il nonno che continuò per lui.
« Vede signor Martellefono, mio nipote è timido, non voleva dire niente se non quello che ha detto:lavorare al servizio della comunità e per il bene di essa ».
Veramente Doppio Riflesso voleva fare tutt’altro tipo di discorso,ma la folla era tanta, la paura di non essere capito aumentava insieme al brusio dei presenti, che fece un cenno con la testa e abbassò lo sguardo.
L’esaminatore lo squadrò dubbioso e gli indicò di seguirlo per il resto delle prove pratiche, tutte superate brillantemente.
La sera a cena, tutta la famiglia era riunita nell’attesa di una risposta,positiva o negativa del signor Martellefono.
Suonò il campanello d’ingresso, e mentre la nonna andava ad aprire, mamma incrociava le dita a sonaglio producendo un sommesso tintinnio.
Entrò un corriere ticchettando sul pavimento per via dei piedi fatti con dei tasti da pianoforte e consegnò un plico arrotolato, salutò e zampettando sonoramente uscì dalla porta.
La nonna tornò in salotto guardando la famigliola in attesa di notizie,ammiccò verso il nonno,ma questi abbasso lo sguardo frettolosamente, allora si voltò in altre direzioni,ma ricevette solo occhiate fuggevoli e schive.
Ancora incerta sul da farsi restava ferma sulla soglia, quando Doppio Riflesso le si avvicinò tranquillamente e con altrettanta noncuranza le prese il responso dalle mani,aprendolo con cura.
« Thò !.. Mi hanno preso.»
Un boato di gioia e sollievo si levò nella stanza, pacche, abbracci ,qualche lacrima e un susseguirsi di» lo sapevo io, voi eravate tutti dubbiosi », oppure » ero sicurissimo,come facevate ad aspettarvi il contrario?».
E così quella fu la prima volta nella sua vita in cui Doppio Riflesso si accorse che per vedere bene come stanno le cose, occorre molto di più di due soli punti di vista.
L’indomani mattina la nostra matricola si recò sul posto di lavoro,ansioso e preoccupato,soprattutto di dover incontrare di nuovo il signor Martellefono, che tanto timore gli aveva suscitato il giorno precedente, fortunatamente per lui, era assente,poiché si era recato nella città vicina per soprintendere all’acquisto di nuovi materiali.
Fu affidato ad un certo Trillante, strano incrocio tra un campanello d’ingresso e un volante,alto ed imponente responsabile dei nuovi arrivati.
Questi scorse attentamente la nota di presentazione di Doppio Riflesso, gli assegnò un armadietto dove riporre le sue cose e lo condusse all’angolo del capannone dove la squadra dei maestri vetrai era già all’opera.
«Bene ragazzo. Squadra numero uno: lavorazione del vetro,specchio e derivati, il tuo angolo natale, buona fortuna!».
Detto questo ,salutò calorosamente gli altri operai che risposero in coro, e andò via.
A turno, ciascun addetto a quel settore,gli spiegava il lavoro da svolgere, facendogli provare le attrezzature e raccontandogli episodi riguardanti la sua creazione o quella di altri ragazzi del villaggio, lo trattavano amichevolmente, facevano valutazioni sul futuro in fabbrica e di come avrebbe trascorso gli anni migliori della sua vita in quel posto, ma lui rimaneva sempre più sconcertatola fatto che tutti davano per scontato la sua permanenza lì.
Non si ponevano neanche il problema di quanto quel lavoro gli potesse piacere, del resto come poteva saperlo, se erano passate soltanto due ore da quando vi aveva messo piede;sembrava che tutti ne sapessero molto più di lui sul suo futuro e questa cosa cominciava ad infastidire terribilmente Doppio Riflesso, tuttavia si sforzava di rispondere garbatamente a tutte le domande e di non far trapelare il proprio disagio.


Finalmente suonò la campana, quella del pranzo e lui si sedette sconsolato su una pila di gomme per cancellare, cercando di riordinare i pensieri, mentre stava lentamente realizzando che forse si era inoltrato in un vicolo cieco, ed il brutto era che non sapeva nemmeno come aveva fatto ad infilarci , non ricordava di aver chiesto esplicitamente di entrare a lavorare in quel posto, ma neppure gli erano state fatte domande sulle sue eventuali aspirazioni.
Quindi i casi erano due: o era stato raggirato, ma non voleva pensarla in termini così meschini, oppure gli altri pensavano che così era , perché era sempre stato e doveva essere.
Quest’ultima ipotesi era più probabile,ma anche più terrificante; se veramente gli altri si erano sempre aspettati questo da lui, se la sua vita fosse stata inconsciamente ma inevitabilmente programmata senza chiedergli neppure il parere, allora l’ostacolo da superare era più grande di quanto si aspettasse.
Non era un equivoco quello da chiarire, ma tutto un mondo da cambiare, lo vedeva nelle persone che lavoravano lì, lo ricordava nei suoi familiari e sebbene cercasse di convincersi che la loro esperienza fosse superiore alla sua, una sussurro lieve lieve nella sua doppia testa riflettente, gli consigliava di andare oltre, di chiedersi il perché di tanto scontento e di decidere alla svelta che cosa voleva essere e come voleva riuscire a diventarlo.
Si ripromise di terminare pacificamente la sua prima giornata lavorativa.
Era anche l’ultima.


Verso sera, mentre tornava a casa, osservava le sue monete esagonali che gli fungevano da piedi e ogni sassolino sporgente sul selciato diventava un facile bersaglio alle sue pedate, i fili d’erba scuri ai lati della strada, s’inchinavano dolcemente ai voleri della brezza leggera, mentre le voci lontane del paese diventavano più nitide e le sagome della case si trasformavano in un paesaggio ormai conosciuto.
Sarebbe voluto andar via, visitare ogni luogo di quel mondo conosciuto solo attraverso i racconti di altre persone e chissà perché, mai scoperto.
Già, anche questo ora saltava agli occhi di Doppio Riflesso come una cosa sconcertante.
Perché non aveva visto mai niente se non quelle quattro case dove era cresciuto, possibile che prima di allora non avesse mai provato la voglia di viaggiare?
Semplicemente non ci aveva pensato, era troppo occupato a giocare con gli amici, ad aiutare il nonno o la mamma.
Sembrava tutto così perfettamente in ordine il mondo fino al giorno prima, erano tutte cose future, da fare un giorno, ma adesso sembrava lontanissimo quel giorno, irraggiungibile.
Anche se non si era mai trovato in una situazione come quella e lo stato d’animo in cui si trovava era assolutamente nuovo per lui, aveva la certezza di essere nei pressi di uno strapiombo e non poteva fare altro: o tornava indietro o provava a saltarci dentro.
Ma perché era così sicuro di dover intraprendere una dura battaglia familiare?
Chi gli diceva di dover per forza discutere con i suoi?
Forse avrebbero capito, forse tutto era solo dovuto ad una sua nevrosi e niente aveva fondamento.
Il solito bisbiglio sommesso invece ribatteva di non illudersi troppo e verificare al più presto le sue paure.
L’unica cosa di cui fosse sicuro, era di non voler tornare in fabbrica il giorno dopo, per nessun motivo.
Passò prima a casa del nonno, trovandolo nell’orto mentre riponeva gli attrezzi.
« Ciao nonno, sono tornato ».
«Oh allora com’è andata oggi? Ti vedo un po’ abbacchiato, vedi il primo giorno succede, ci si sente incapaci, pensi di non riuscire ad imparare tutte quelle cose, ma vedrai poi con il tempo e i miei consigli..».
Doppio Riflesso non gli dette neanche il tempo di finire la frase.
«Io non ci torno là nonno,non è questo che fa per me ».
Il vecchio si fermò sulla soglia, poi fece per entrare nel capanno degli attrezzi e disse trattenendo la rabbia:
«Dormici su e non farne parola con i tuoi, vedrai le cose diversamente tra un po’.».
Richiuse la porta, domandandosi come avrebbero reagito sua figlia e suo genero a quella notizia, conosceva bene il nipote e sapeva di non averlo convinto a tacere.
Doppio Riflesso rimase per qualche minuti al buio, tra le aiuole di fiori dietro la casa, ripensando a tutte le sgridate prese dalla nonna ad ogni pallone finito tra quelle rose; rivedeva la strage di petali bianchi ,rossi,rosa a seconda del cespuglio colpito e alle fughe divertenti intraprese ogni qualvolta la nonna usciva minacciosa dalla cucina.
Rivide se stesso bussare alla finestra del pian terreno per chiedere caramelle, acqua o l’ora e si chiese perché, ma perché non ci aveva pensato prima?
Si sentiva triste, ma non perché aveva deluso suo nonno e stava per fare altrettanto con i suoi genitori, ma perché le persone alle quali voleva bene non lo consideravano abbastanza grande da prendere decisioni autonome o semplicemente non capivano l’importanza di capire.
Questo pensiero lo fece stare meglio.
Non si sentiva in torto verso niente e nessuno, voleva solamente capire qualcosa, non sapeva ancora cosa, ma la doveva capire.
Era come se mancasse un pezzetto dentro di sé e più pensava, più quel pezzetto diventava grande, arrivato alla porta di casa dei suoi, gli sembrava di avere un buco dentro e di doverlo riempire al più presto.
La cena era in tavola, i genitori seduti, Doppio Riflesso aprì bocca ed il mondo crollò.
Non c’erano ragioni valide per calmare suo padre o parole di conforto per sua madre, nonostante si sforzasse di far valere il suo punto di vista, ad ogni argomentazione gli veniva risposto con esempi pratici ed inappellabili su come lui non potesse sapere e conoscere, e quello non era il figlio cresciuto da loro, cosa ne poteva sapere della vita, dei pericoli..sogni solo sogni niente di concreto.
Avendo scoperto di avere una personalità ed un’interiorità solo da poche ore, Doppio Riflesso non riusciva a difenderle molto bene, aveva una confusione in testa così grande,da non capire più se stava sbagliando o se era nel giusto, non aveva idea di cosa volesse,aveva chiaro solo i principi di suo padre e non li voleva condividere.
Alla fine però, dopo l’infelice frase » Chi ti ha messo in testa queste idee?», sbottò mettendosi ad urlare.
« Ma come? Preferiresti un figlio deficiente aizzato dalle parole degli altri piuttosto una persona diversa da te? Tutte le tue idee, i tuoi ragionamenti, quando hanno selezionato le vostre caratteristiche migliori e mi hanno fatto pensavi di poterti specchiare a vita nella mia immagine.
Guardami io rifletto , rifletto in due modi e questa facoltà è solo mia ».
Si sorprese delle proprie parole e a dire la verità anche i suoi genitori, che tentarono la via del ragionamento.
Iniziò la madre:
«Ma noi lo facciamo per te, siamo preoccupati per il tuo futuro, vogliamo essere sicuri di cosa farai nella vita ».
«E se fossi triste per il resto della vita, il fatto di avervi fatto felice pensi mi consolerebbe?».
Forse non voleva farlo, forse non voleva sentirsi dire quelle cose, ma all’improvvisò il babbo spalancò la porta di casa e quasi sottovoce disse:
«Vai allora e scopri il mondo, tornerai chiedendo scusa!».


Quella fu la prima notte di Doppio Riflesso fuori di casa, lontano dal paese, sopra una collina solitaria dove le costellazioni sembravano dipinte di fresco, la luna ora piccola,ora grande, sembrava di burro, ogni volta in ciascuno dei due specchi appariva un’immagine diversa.
Il perno restava immobile, ma faceva ruotare avanti e indietro le due facce ,egli si domandava dove sarebbe andato e cosa avrebbe fatto, ma quella strana tranquillità interiore non era per niente spiacevole, mentre alternava le sue doppie visioni.
Si chiese se era quello che cercava, quell’inappagabile sensazione di essere in pace con se stessi, di aver fatto la cosa giusta.
E in qualunque modo voltasse lo specchio, quello stato d’animo era l’unica cosa a rimanere uguale.
Ci riflettè a lungo, quindi decise di recarsi in una città distante, dove forse viveva ancora un loro lontano parente , uno di quegli strani cugini alla lontana che si ritrovano in ogni famiglia, volutamente dimenticato da tutti visti i suoi poco lusinghieri precedenti.
Doveva essere un mezzo artista o qualcosa del genere, Doppio Riflesso lo aveva visto a casa un paio di volte, quando ancora i rapporti con costui non erano degenerati del tutto, magari lo avrebbe ospitato, magari no, ma in ogni modo era pur sempre un primo punto di partenza.
Di lui sapeva soltanto il nome e ne ricordava sbiaditamente l’aspetto, cioè un pendolo d’orologio agganciato ad un complicato meccanismo d’ingranaggi dentati.
«Di certo - pensò- con un simile aspetto non doveva aver avuto vita facile.».
Ricordò le maldicenze della mamma e della nonna nei suoi confronti e sperò di trovarlo , o molto cambiato, o per lo meno, molto gentile.
La strada per la città era molto lunga, ma caparbietà e tenacia erano stranamente ed improvvisamente sbucate fuori da chissà dove nell’animo del nostro specchio, tanto da fargli intraprendere il viaggio con spirito allegro e speranzoso, affidandosi alla buona sorte, ad un paio di gambe giovani e alla gentilezza di alcuni passanti motorizzati che si offrirono di dargli un passaggio negli ultimi tratti di strada, fino alle prime case della periferia della città.
Questa apparve subito ai suoi occhi immensa e terrificante.


Non lo spaventava solamente l’immensità degli spazi edificati e la quantità immane di persone, ma anche quel tremendo rumore al quale non era abituato.
I prati ed il tranquillo paesaggio natio erano talmente lontani e inimmaginabili adesso, da farlo quasi tornare sui suoi passi, tanto da dover rivivere spesso l’ultima scenata con suo padre per trovare il coraggio di continuare a vagare in quel labirinto sconosciuto, senza nessun filo d’Arianna.
Non sapendo bene da dove cominciare, decise innanzitutto di scartare i quartieri più ricchi, sicuramente il bis-bis-bis cugino non era gradito ai membri della famiglia, ma sicuramente se in quegli anni avesse fatto fortuna, la notizia sarebbe di certo giunta a casa, se non altro per dare adito ai parenti, o di riavvicinarsi , nel migliore dei casi o per congetturare le peggiori ipotesi sulla causa di quel miglioramento.
Un parente redento fa molta meno notizia di uno arricchito ».. non si sa bene come e grazie a cosa..» finì la frase la nonna nella testa di Doppio Riflesso.
Chiedendo informazioni ai passanti, stabilì di andare verso le zone più popolari ed anche più numerose, giungendo in un quartiere sporco e rumoroso, chiamato » rione degli artisti », dove le case erano così malridotte e ammassate che gli fecero tornare in mente gli instabili castelli di sabbia argillosa costruiti sulle sponde di un laghetto, quando era bambino.
Il colore era simile e la stabilità ugualmente precaria, in più erano affollatissimi e da ogni dove vociavano donne,uomini, all’apparenza indaffarati in mille occupazioni diverse, tutte svolte in strada o in bugigattoli ambiziosamente definiti negozi, con tanto d’insegne sghembe e pericolanti.
Egli vagò molto, chiese, osservò i passanti, ma ormai il buio calava sui vicoli, accendendo i pochi lampioni funzionanti, dalle finestre dei palazzi le mamme urlavano ai figli di rientrare, le osterie davano la buonasera ai primi clienti e a Doppio Riflesso saliva un groppo in gola duro come un sasso, mentre la certezza di stare sbagliando tutto s’insinuava nella testa .
Stava pensando al modo di passare la serata, quando un cartello affisso ad una vetrina di un locale attirò la sua attenzione:
«Cercasi personale esperto ».
Aprì la porta dell’osteria, facendo tintinnare dei campanellini polverosi affissi sopra lo stipite.
Il locale non era molto spazioso, aveva un lungo bancone ammaccato in più punti e, disseminati disordinatamente, dei tavolini apparecchiati alla buona, con tovaglie rammendate e i bicchieri diversi tra loro.
Le sedie impagliate lasciavano penzolare gli intrecci consunti, come se un gattino dispettoso si fosse arrotato le unghie sotto ciascuna di esse.
Dalla porta della cucina uscì un fiasco di vino con l’etichetta sbiadita, che lo squadrò meravigliato e con voce petulante chiese:
«Buonasera signore desidera un tavolo? Suppongo sia solo ».
«No io veramente volevo sapere del cartello sulla porta, se cercate del personale avrei bisogno di un lavoro ».
«Non sembri di queste parti, come mai sei qui? ».
«Sono in città per trovare un parente, ma non ho avuta molta fortuna, per questo ho bisogno di un posto dove dormire ».
«Bhè se non altro non te ne andrai dopo tre giorni, se veramente hai bisogno di un lavoro.Cosa sai fare?Cucinare?Servire ai tavoli?O puoi intrattenere i clienti ballando e cantando? ».
L’oste aveva assunto un tono arrogante, ma non era il momento di sottilizzare quello: o lì o fuori per la strada chissà dove e con quali conseguenze.
« Io potrei..imparerei..credo di saper fare.. ».
«Ho capito - sentenziò la fiaschetta - un altro disperato senza arte ne’ parte.Tagliamo corto, un posto come tutto fare, tre soldi la settimana, dalle sei a chiusura tutti i giorni e un posto letto in magazzino.Si o no?. ».
Si strinsero la mano e Doppio Riflesso iniziò la seconda giornata lavorativa della sua vita, questa volta come sguattero.
Il lavoro non era complicato, anche se molto pesante, l’oste era burbero, ma si accontentava del nuovo aiutante, che poteva ritenersi fortunato, aveva molto tempo per cercare il cugino e nell’osteria passavano molte persone alle quali chiedere informazioni.
La vita nel sobborgo, in particolare nel vicoletto, cominciava a piacergli, c’erano un sacco di personaggi strani e simpatici, con i quali sempre più spesso si fermava a chiacchierare; i timori della prima sera non si erano più fatti sentire, anche se la nostalgia di casa di tanto in tanto lo faceva sospirare.
Avrebbe voluto rifare tutto quello che aveva fatto, ma con il consenso dei suoi, il fatto di essersene andato litigando non era una bella cosa da ricordare, però adesso sentiva di poter fare qualcosa di giusto, avvertiva una sensazione di buon auspicio.
Era sicuro che il tempo gli avrebbe reso merito e un domani sicuramente sarebbe tornato per riappacificarsi con loro, ma avrebbe avuto anche il modo di dimostrargli
che si erano sbagliati sul suo conto e questo pensiero lo rincuorava nei momenti di sconforto.
Notizie del cugino non ne trovava, magari non si trovava neanche più in città, ma Doppio Riflesso continuava ugualmente a fare domande.
Una sera quasi all’ora di chiusura, mentre riponeva i bicchieri lavati nella credenza, sentì lo scampanellio della porta d’ingresso e una voce roca chiedere:
«Non c’è nessuno al banco? ».
L’oste arrivò dubbioso dal retro, a quell’ora i clienti non erano molto raccomandabili,ma cambiò espressione non appena riconobbe l’avventore,non salì neppure dietro al bancone,avviandosi a salutarlo confidenzialmente.
I due si scambiarono saluti e scambievoli informazioni sulla rispettiva salute, pessima a sentire entrambi, per non parlare della loro cattiva sorte.
Dopo essersi descritti le rispettive e faticose vite, stapparono una bottiglia di vino speciale, di quelle tenute sui ripiani più alti e che, confrontata con il vino della casa servito ai clienti abituali, doveva sembrare nettare d’ambrosia tanto la lodarono.
Doppio Riflesso l’avrebbe anche assaggiata volentieri, ma si guardarono bene dall’offrirgliene anche un solo bicchiere, anzi l’oste gli ordinò sbrigativamente di chiudere la porta, spegnere l’insegna e andare a letto o in ogni caso fuori da lì.
Egli non se lo fece ripetere due volte, pensando di passeggiare un po’ per il quartiere prima di andare a dormire, per cui diede, non corrisposto, la buonanotte e uscì respirando l’aria fresca della sera,profumata quasi, niente a che vedere con il puzzo di chiuso e di fritto della taverna.
Saltò come al solito, tutti e quattro i gradini, atterrando sul marciapiede, si stirò le braccia per sgranchirsi e rimase immobile, come se un poliziotto gli avesse intimato di alzare le mani, ma non era un agente di polizia quello che aveva davanti,bensì un vecchio furgoncino scassato, con una grossa scritta rossa sul cassone e sotto un disegno scolorito:non c’erano dubbi, quello dipinto sulla fiancata era proprio il suo bis- bis - bis - cugino!
Risalì velocemente gli scalini, spalancando la porta, zittendo i due che lo guardarono con aria interrogativa.
«Mi scusi signore ma è suo quel camioncino là fuori? ».
L’altro annuì.
«Si perché? ».
«Credo di conoscere il tipo dipinto sulla fiancata, mi saprebbe dire qualcosa su di lui? Se sa dove abita o dove lavora? ».
L’amico dell’oste raccontò di come avesse incontrato il cugino ad una fiera, mentre stava cercando un furgone da acquistare, l’altro invece voleva vendere il proprio e così avevano concluso l’affare.
Doppio Riflesso rimase deluso da quella risposta e chiese se per caso non avesse avuto qualche altra informazione, per esempio dove si stava recando o che intenzioni avesse, spiegò la parentela e di come fosse venuto in città per cercarlo , purtroppo non venne a scoprire nulla se non il nome della città dove era avvenuta la vendita del furgone.
Sconfortato,ringraziò e uscì mestamente,scendendo i gradini uno ad uno e sedendosi sull’ultimo.
Non avrebbe avuto molto senso andare a cercare il cugino adesso, forse fino ad ora si era sentito particolarmente tranquillo e al sicuro, anche grazie al fatto di dover cercare quella persona, chissà poi cosa pensava di risolvere in quel modo.
No, la verità era che doveva veramente cominciare a darsi da fare per conto proprio, senza sperare nell’appoggio di nessuno.
Dalla mattina seguente avrebbe cominciato cercando un nuovo posto di lavoro, magari con una mansione che per una volta richiedesse anche l’uso del cervello oltre a quello delle braccia;invece di perder tempo nell’inutile ricerca di quella fantomatica persona.
Avrebbe continuato a lavorare all’osteria la sera, ed il giorno si sarebbe recato nei quartieri più benestanti della città e si sarebbe dato da fare, considerata la sua posizione, era fermamente convinto di poter solo migliorare.
I giorni seguenti furono poco produttivi nella città bella, quella delle vetrine eleganti e delle strade pulite,sembrava proprio che non avessero bisogno di lui, senza credenziali,senza esperienza, si vedeva lontano un miglio che era un povero campagnolo ingenuo.
Lo squadravano e lo classificavano, e Doppio Riflesso, risolutamente, continuava a vagare senza sosta, bussando a tutte le porte e proponendosi per innumerevoli lavori, ma ogni sera tornava all’osteria più sconcertato e demotivato che mai.


Poco prima nelle festività natalizie, l’oste decise di chiudere la bottega per un fine settimana, aveva delle commissioni da fare e alcuni parenti da salutare, quindi lasciò le chiavi a Doppio Riflesso con la raccomandazione di stare attento e di non portare nessuno nella taverna durante la sua assenza.
Aveva davanti tre giorni liberi a disposizione nei quali poteva vedere la citta di sera, quando i locali, quelli veri, quelli belli, quelli eleganti, promettevano strabilianti divertimenti fino alle prime luci dell’alba.
Per una volta non si fece problemi sui risparmi da mettere da parte;dopo aver lavorato per mesi senza spendere una lira ed era tempo di adeguarsi al nuovo stile di vita, se voleva scrollarsi di dosso quell’immagine provinciale che si sentiva.
Prese l’autobus il venerdì mattina,scelse un alberghetto economico vicino al centro, uno da turisti e fissò la camera fino alla domenica mattina.
Poi fece un giro nella piazza centrale comprando un giornale, dove erano riportati tutti gli spettacoli dei teatri,le visioni dei cinema, i musei da visitare e altri avvenimenti importanti.
C’erano veramente decine di scelte possibili da fare,molti luoghi da visitare e ne scelse alcuni che attiravano maggiormente la sua attenzione.
Era piacevole quella sensazione di libertà, finalmente tre intere giornate libere da ogni impegno,dedite solo ai propri desideri,era talmente diversa la vita rispetto al paese;i primi giorni gli rimaneva nuovo persino dover attendere, per poter attraversare la strada, il verde del semaforo; dove era cresciuto non ce n’era neanche uno a spartire l’ordine tra pedoni e automobili.
Il cento della città era veramente molto bello, con tutti i locali caratteristici, i monumenti, le chiese antiche, Doppio Riflesso avrebbe voluto conoscere la storia di ogni singola pietra, gli angoli delle strade ,i portoni dei palazzi suntuosi, le grondaie a forma di grifone, ciascun particolare meritava attenzione.
Egli si chiedeva se ci si poteva abituare a tutta quella meraviglia, se la quotidianità e la familiarità con l’ambiente facessero in modo che i passanti non si soffermassero più ad ammirare una qualsiasi cosa.
Oppure lo facessero senza stupore o se si potesse passare frettolosamente davanti ad una di quelle chiese senza fermarsi ad ammirarla.
Osservando l’andirivieni delle persone, che non fossero turisti, capì che doveva essere proprio così, tutta quella gente ormai, passava per quelle strade indifferentemente,senza neppure alzare gli occhi un attimo, pareva dare per scontato il fatto di trovarsi lì , circondati da tutte quelle beltà.
Si ripromise di non farlo mai, anche se avesse vissuto in quel posto per tutta la vita.
Passeggiava osservando il formicolare confuso attorno, davanti,dietro, ovunque c’erano persone da guardare e con le quali avrebbe chiacchierato volentieri, ma di cosa?
Si sentì improvvisamente solo ed estraneo, un passante gli chiese a dire dove si trovava una strada e lui fu costretto a rispondere di non sapere dove fosse, di non essere del posto, in fin dei conti era vero.
Per un attimo pensò di tornare alla locanda,poi si rianimò facendosi coraggio ,chissà quanta di quella gente non era nata lì, ma vi si era trasferita e all’inizio sicuramente si era trovata nelle sue stesse condizioni, non si era prefisso di conoscere tutto di quella città?
E allora cosa stava aspettando?
Si fermò davanti ad un teatro, non c’era molta fila da fare, perché lo spettacolo stava per iniziare ed entrò nel salone barocco illuminato da un grande lampadario di cristallo,salì in galleria prendendo posto nei comodi sedili di velluto blu, caldi ed accoglienti,aspettando con curiosità l’inizio della rappresentazione.
Dalla sua postazione vedeva il palcoscenico nascosto dal pesante sipario rosso, le luci si affievolirono leggermente due volte ,spegnendosi e dal silenzio sceso in sala capì che lo spettacolo stava cominciando.
Buio completo, un fascio di luce cilindrica illuminò il proscenio,spaziò da sinistra a destra lasciando intravedere l’arredamento di scena, un vociare allegro di attori salì da dietro un boccascena e il palcoscenico fu illuminato a giorno.
Il primo atto era ambientato in campagna durante una festa, quello che doveva essere il protagonista cantava e ballava ora da solo, ora in coro con gli altri, un paio di volte si levarono degli applausi a scena aperta e dopo l’apoteosi cantata coralmente da tutti, si chiuse il sipario accompagnato da uno scrosciante applauso e da un incalzarsi di voci prima isolate, poi in sincrono che chiedevano il bis.
Questo fu concesso volentieri dall’attore principale, che finì di cantare insieme agli altri, ma alla fine si avvicinò da solo fino alla bocca del suggeritore e raccolse tutto il merito con un elegante e compiaciuto inchino.
Dopo una brevissima pausa durante la quale le luci in sala si erano riaccese, ecco calare di nuovo l’oscurità, riaprirsi il sipario mentre un occhio di bue illuminava un grazioso Cestino di vimini tutto ornato di fiori e frutti talmente belli da non poter distinguere se fossero veri o no, due ruote di legno permettevano al cestino di muoversi e due occhi azzurri di bambola si aprirono sopra il manico intrecciato da fili di raso multicolori.
Quando la protagonista iniziò a cantare schiudendo il bocciolo di rosa che aveva come bocca, Doppio Riflesso pensò di non aver mai visto creatura più dolce ,nessuna delle sue compagne, neanche la più carina ,poteva essere paragonata a lei, chissà come si chiamava.
Nel buio della galleria era difficile leggere il programma di sala, ma cambiando la posizione del suo specchio rotante da piccolo a grande, riuscì a leggere » Floralia » proprio sotto la dicitura « Personaggi e interpreti ».
Il canto di Floralia roteava nel salone, limpido e perfetto, gorgheggiava ammiccante e trasportava la melodia leggera.
Incalzanti,nitide e scandite le parole della canzone entravano nel cuore degli spettatori assorti e concentrati.
Doppio Riflesso manteneva la posizione dei sui specchi su quello ingrandito, in modo da potersi concentrare solo su di lei, quando un tonfo sommesso interruppe quella beatitudine, un rumore di vetri che cadono si udì sopra le teste della platea e il buio ammutolì tutti per un istante, un brusio sorpreso, qualche attimo di smarrimento, poi un personaggio affannato apparve sotto un riflettore.
«Ci ..ci scusiamo vivamente con il gentile pubblico, ma si è rotto l’occhio di bue, se volete scusarci qualche momento, vi garantiamo il seguito della rappresentazione.»
Le altezzose signore della prima fila parvero scocciate da quella forzata interruzione, qualcuna si alzò nervosamente per andare a passeggiare con le amiche nel salone d’ingresso del teatro, alcuni fumavano o bevevano qualcosa al bar, altri leggevano le locandine delle rappresentazioni prossime e commentavano la bravura di quell’attore o l’incapacità dell’altro.
Il caso non esiste nella vita, ma questo Doppio Riflesso ancora non lo sapeva, quindi l’idea pazzesca e geniale che gli sfarfallò nella mente, non venne messa in relazione con la sua esistenza se non molto tempo dopo, fatto sta che con un gesto di coraggio preso da chissà dove, cercò di entrare nel retropalco, dove quasi nessuno fece caso alla sua presenza, visto il caos che al momento vi regnava,tecnici,attrezzisti, macchinisti correvano qua e là eseguendo ordini confusi e contraddittori del regista, dell’aiuto e dell’impresario, il direttore di scena litigava con l’addetto alle luci, questi scaricava la colpa sugli addetti alla manutenzione;questi ultimi, assenti, non potevano giustificarsi.
Dal camerino della prima attrice si sentiva inveire contro il mondo, mai Doppio Riflesso avrebbe immaginato quanta dose di scurrilità può celarsi dietro altrettanta dolcezza scenica, e si ripromise di cercare di andare sempre oltre le apparenze, ma non era una cosa rilevante al momento.
Adesso doveva cercare d’individuare la persona giusta,eccolo là il signore che aveva annunciato l’interruzione dal palcoscenico, di sicuro era qualcuno dell’organizzazione.
Era un tozzo barattolo di vetro, con le gambe di latta e la testa appuntita, conica, sulla sommità della quale due bottoni roteavano cercavano si scorgere qualcuno con cui arrabbiarsi.
Quando Doppio Riflesso si avvicinò, tentò di scacciarlo in malo modo, ma alle parole «Io potrei aiutarla », cambiò completamente espressione e i due bottoni, si riempirono di speranza.
«Cos’è lei?un tecnico?un elettricista?un mago?cosa può fare per me? »
«Posso usare la testa».
Il barattolo stava per esplodere con un gesto sconclusionato,quando lo osservò attentamente e iniziò ad urlare nomi e ordini, il tutto così velocemente che Doppio Riflesso non si accorse neanche di quello che stava accadendo, sta di fatto che di l’ a pochi attimi, si trovava nella cabina luci con i resti dell’occhio di bue sparsi per terra e buttati in un angolo, un faretto puntato dietro la testa e un tecnico piccolo piccolo che gli dava indicazioni su come muoversi e dove dirigere il fascio di luce.
Non dovette sostituire l’occhio di bue in molte scene, ma in quelle dove era richiesto la sua presenza fu fondamentale, per focalizzare l’attenzione su quello o quell’altro personaggio o nei finali di scene particolarmente significative.
Alla fine si godette gli applausi del pubblico come se fossero stati direttamente rivolti a lui, mai nella sua vita si era sentito così orgoglioso e soddisfatto, non tanto per quello che aveva fatto, ma per l’idea che aveva avuto e per l’occasione sfruttata.
Pensò di aver avuto una fortuna sfacciata,specialmente quando gli chiesero se voleva entrare in pianta stabile nell» Antica compagnia di teatro itinerante «, una delle più prestigiose della città e lui,naturalmente, rispose di sì.

Tornò alla vecchia osteria con il cuore leggero ,anche un po’ in ansia per il fatto che doveva dire all’oste che se ne sarebbe andato,tuttavia non riusciva a capire quel piccolo stato di agitazione che gli procurava dover fare questa cosa.
Lavorava tanto,veniva pagato poco, dormiva in cantina e nonostante tutto ciò si sentiva quasi in colpa e nella condizione di doversi giustificare per aver migliorato la sua vita.
Com’è buffo l’animo umano, si abitua subito alle brutte condizioni, si sente in torto quando cambia in meglio e tende a dover giustificare la felicità.
Alla fine tutto andò come era prevedibile, l’oste si attenne alla parte assegnatagli,rappresentata così bene dalla favola della volpe e l’uva e il nostro protagonista invece,raccolte le sue poche cose in una sacca, uscì di scena trionfalmente complimentandosi con se stesso.
La compagnia ripartiva l’indomani mattina ,appena smontate le scene e caricate queste insieme alle attrezzerie sui camion per le merci.
Gli attori principali, il regista e il produttore viaggiavano tutti insieme in automobile e alloggiavano in un albergo distinto durante le tournèe, il resto della compagnia ,tecnici compresi aveva i suoi furgoncini ormai datati,e scarrozzavano ormai non si sa da quanti anni ed erano talmente pieni di rumori e cigoliì che durante i viaggi bisognava urlare per riuscire a scambiare due parole.
Ma a Doppio Riflesso sembrava di aver comprato un biglietto in prima classe per una vacanza,non gli sembrava vero.
Avrebbe visto tante di quelle città e imparato un mestiere così particolare,sempre a contatto con l’arte, con la musica, gli applausi,non poteva chiedere di meglio.
E quante cose sapevano i suoi compagni,quanti aneddoti,gli erano capitate le avventure più incredibili sempre in giro per il mondo.
La sconquassata carovana di solito arrivava nel paese un paio di giorni prima della rappresentazione, gli operai iniziavano a scaricare i camion e ad allestire le scene,l’impresario si dava da fare per riempire tutti i fogli della parte burocratica, fare pubblicità,incontrare le autorità e soprattutto spendere il meno possibile.
Per quanto riguarda Floralia e il suo co-protagonista erano specializzati nel far ammattire il regista con le loro continue discussioni artistiche che vertevano su quanto l’uno fosse più bravo e quindi meritevole di essere messo più in luce rispetto all’altro.
Il povero regista, un vecchio incrocio tra una grattugia per il formaggio e un sottopentola, sembrava arrugginirsi ogni giorno di più nel vano tentativo di riappacificare quei due e nello spiegar loro che i ruoli delle commedie erano scritti dall’autore e la lunghezza delle parti maschili e femminile non la decideva certo lui.
La più agguerrita era Floralia che se avesse potuto ,avrebbe cantato con voce da tenore pur di avere la scena completa e non doverla dividere con nessuno.
Il lavoro di Doppio Riflesso non era molto riposante, faceva un po’ di tutto, ma tra scaricare, montare, mettere in atto la rappresentazione e ripartire non aveva mai neanche il tempo di visitare i posti dove si trovava.
E’ vero che cambiavano città in continuazione, ma l’unica cosa che vedeva tutto il giorno era il teatro e l’albergo a notte fonda quando crollava sul letto talmente stanco che non si ricordava neppure come c’era arrivato.
L’entusiasmo per il nuovo lavoro cominciava a scemare,la compagnia era allegra
ma se si guardava un po’ più in profondità si poteva scorgere tanta nostalgia per case e famiglie rimaste al paese dove la maggior parte di loro tornava ben poco e per coloro che invece non avevano nessun posto dove tornare, c’era invece un represso desiderio di potersi fermare un giorno e sentirsi a casa .
Doppio Riflesso non riusciva a capire ,era stato così entusiasta di iniziare quella nuova attività, c’aveva messo il cuore, ma adesso solo pochi mesi dopo, era triste e sconsolato, non gli dispiaceva quel lavoro, ma praticamente non aveva tempo per fare nessun’altra cosa e lui di cose in mente da fare ne aveva milioni.
Cioè migliaia, cioè centinaia,cioè decine, cioè va beh..non sapeva assolutamente cosa avrebbe potuto o voluto fare ma sicuramente vedere un po’ meglio i posti dove si trovava per esempio sarebbe stato un bell’inizio.
Girava per il mondo e non lo scopriva.
Era assurdo.
Spesso chiedeva agli altri se provavano la stessa sensazione, se si sentivano quel senso di sopraffazione, ma evidentemente nessuno era curioso come lui perché non sentivano la necessità di avere più tempo libero per visitare monumenti o musei.
Certamente per fare altre cose sì, ma sembrava che si facessero quella domanda per la prima volta nel momento in cui glielo chiedeva Doppio Riflesso.
E ancora una volta si stupiva della forza dell’abitudine sulla mente, che si assuefà a ciò che la circonda senza opporre resistenza, senza ricordarsi che è lei che crea la realtà e non la realtà che suggerisce alla mente come deve essere.
Alla fine si rendeva conto che lì o al capannone non c’era molta differenza nel modo di ragionare delle persone, non sapeva se provare a convincerli del contrario o almeno dell’alternativa o arrabbiarsi con loro.


Gli sarebbe venuto da discutere,ma a quel punto sarebbe stato come il nonno o il babbo che non accettavano chi non la pensava come loro.
Uff… la coerenza nella vita che immensa complicazione.
Una notte di fine Maggio finirono di smontare le attrezzature a notte fonda e quando i camion furono carichi già albeggiava, ma non potevano fermarsi e riposare perché la data della rappresentazione successiva era l’indomani stesso e quindi dovevano rimettersi in viaggio appena caricata l’ultima pesante cassa.
Appena salì sul furgone scassato Doppio Riflesso si addormentò pesantemente,era talmente stanco che ne’ i rumori ne’ gli scossoni dei vecchi ammortizzatori artritici riuscivano a svegliarlo.
Sognava di essere in una strada di campagna di notte al chiarore della luna,il frinire dei grilli e ai suoi lati cespugli di more rosse indicavano che l’estate aveva dato il meglio di sé ma preparava l’invito all’autunno donandogli gli ultimi frutti selvatici come regalo di benvenuto.
Camminava lungo una strada sterrata guardandosi indietro e domandandosi come mai non avesse paura.
Perché non c’era niente di cui avere paura era la risposta dolce e calmante della voce dei sogni, quella che udiamo come nostra ma sappiamo non esserlo, quella che spiega tutto con una solo sensazione, quella che ci fa dire «sapevo che era così anche se non lo stavo vedendo ’.
Alla sua destra un prato ondeggiava lentamente,ma ad avvicinarsi ci si poteva accorgere che non era terra quella su cui cresceva, ma acqua di una palude in apparenza immobile,ma che sinuosamente faceva ondeggiare qualsiasi creatura le crescesse sopra.
Doppio Riflesso mise i piedi in quell ’acqua ferma che ferma non era e avvertì una piacevole sensazione di freschezza, come se un carezza stesse risalendo tutto il suo corpo su per le gambe fino alla schiena e lo lasciasse piacevolmente risollevato.
L’impressione dell’acqua era talmente gradevole che invece di tornare sulla stradina egli continuò a camminarci e più andava avanti, più la sensazione che l’acqua si muovesse aumentava.
Da principio erano piccole onde che s’increspavano attorno alle caviglie, poi moti più forti che schizzavano fino alle ginocchia.
La palude si stava trasformando in torrente e l’impetuosità aumentava ad ogni passo avanti che faceva.
Il torrente divenne fiume e la massa d’acqua s’ingigantì a tal punto che Doppio Riflesso alzò gli occhi per vedere da dove venisse tutta quella forza.
La sorgente del fiume era un alto cancello in ferro lavorato che si ergeva solitario in mezzo alla campagna non molto lontano, tra le sue sbarre si scatenava la forza delle onde che scendevano sempre più impietose trascinando con sé erba e tronchi, tronchi d’albero enormi che arrivavano rotolandosi e immergendosi, e rispuntando poco dopo come dita gigantesche.
O erano serpenti?Doppio Riflesso si chiese se lo fossero, ma la sua voce onirica rispose che no ,non lo erano ,che erano solo tronchi.
E allora invece di opporsi alla loro forza Doppio Riflesso vi si abbandonò, salendo su uno di questi e lasciando che tutta la loro potenza scorresse sotto di lui.
Non appena vi si issò ,saldamente , la spinta del fiume cambiò. S’invertì e risalì da dove era venuta.
Con lo stesso impeto , ma in direzione inversa portava i tronchi e Doppio Riflesso verso il cancello dal quale prima venivano.
E adesso il cancello era aperto, spalancato e portava ad una meravigliosa città fatta di palazzi alti e stretti, che terminavano con guglie e abbaini.
Egli scese dal tronco appena varcato il cancello,l’acqua sparì ritornò torrente e poi palude e si ritirò al di là del cancello dove era stata prima.
Doppio Riflesso si guardava intorno estasiato, mai posto gli aveva comunicato più pace e serenità,si voltò indietro per vedere se il cancello si fosse richiuso.
«Svegliati specchio delle mie brame.. Siamo arrivati»
E per un attimo fu sicuro che anche questa frase facesse parte del sogno.

Scaricarono nuovamente tutta l’attrezzatura, casse di legno, scenografie smontate, materiali vari e iniziarono velocemente ad allestire per lo spettacolo della sera, avevano i minuti contati ed erano tutti talmente indaffarati che nessuno si accorse del ragazzo entrato nel teatro che li stava osservando con attenzione.
A guardarlo da lontano non si capiva bene come fosse fatto, ma quando si avvicinò al palcoscenico e chiese a chi potesse chiedere delle informazioni, la sua forma strana catturò subito l’attenzione di Doppio Riflesso.
Aveva qualcosa d’interessante, o di familiare, non riusciva a capirlo.
Il nuovo arrivato non poteva certo dirsi bello, ma di sicuro non passava inosservato, aveva il corpo a forma di trottola, tutto colorato a spicchi e le gambe ricordavano le zampe di un letto, tozze e cilindriche , mentre le braccia erano due piccoli organetti da fisarmonica con le piccole dita di legno come i bastoncini del gelato.
Ma la cosa buffa era la testa , un pezzo di vetro smerigliato, di quelli opachi attraverso i quali non si vede bene, ma si intuiscono solamente le sagome intraviste.
« Scusate mi hanno detto che cercavate un suggeritore per qualche serata, a chi posso rivolgermi di preciso?».
« Se cerchi l’impresario lo trovi al piano di sopra , dovrebbe essere nei camerini, prova lì » - lo indirizzò un macchinista.
«La ringrazio vado « rispose il ragazzo , si girò e incamminandosi si appoggiò ad un bastone bianco , poi lo prese con tutte e due le mani e lo protese in avanti cominciando a muoverlo a destra e sinistra mentre si allontanava.
Armonio, questo era il suo nome ,era per l’appunto cieco e usava il suo bastone per avvertire la presenza di ostacoli lungo il tragitto da fare.
Doppio Riflesso e il resto della compagnia rimasero a bocca aperta.
Come faceva a cercare un posto come suggeritore un cieco?
Forse era stato delegato da qualcun altro.
Non era possibile che fosse per lui.
Continuava ancora a pensarci quando , trascorsa un’oretta, l’impresario scese al pian terreno in compagnia nel nuovo venuto e lo presentò così :
« Lui è Armonio, che mi venga un colpo se non è la persona che conosce più opere a memoria di chiunque, non ho mai visto nulla del genere, ho provato con le domande più difficili e mi ha sbalordito.Da stasera è il nostro nuovo suggeritore, dategli il benvenuto.»
E Doppio Riflesso incontrò per la prima volta un’altra persona che aveva la facoltà di vedere le cose in modo diverso.
Senza vederle.


Il debutto di Armonio fu grandioso, non solo sapeva tutte le parti a memoria, ma aveva un orecchio musicale assoluto talmente sopraffino che riusciva a sentire il tempo anche di tutti gli strumenti e avrebbe tranquillamente preso il posto perfino del
direttore d’orchestra se ne avessero avuto bisogno.
Sembrava che la musica per lui fosse aria e la gestisse con la stessa naturalezza con cui gli altri respiravano.
Doppio Riflesso era esterrefatto, non riusciva a capire come riuscisse a fare tutte quelle cose senza l’aiuto della vista, con un entusiasmo e una passione da far invidia, come se il vedere fosse veramente superfluo, per lui che il senso visivo ce l’aveva doppio , era sbalorditivo.
Finita la rappresentazione non dovevano smontare subito, perché si trattenevano in quella città una settimana intera, e come al solito quando avevano un po’ più di tempo a disposizione, si recarono tutti in trattoria e uscirono a notte fonda.
Doppio Riflesso chiese ad Armonio se poteva riaccompagnarlo a casa, visto che era del posto e s’incamminarono lungo un viale deserto.
Le loro ombre formavano due sagome lunghe lunghe alla luce dei lampioni e ricordavano il numero dieci, una snella e alta, l’altra tonda e molto più piccolina.
« Come hai fatto ad imparare così bene la musica senza … senza vedere, cioè prima vedevi o cosa?.. « - iniziò Doppio Riflesso pesando bene le parole per paura di offendere il nuovo amico.
« No sono nato così, a dire la verità mi hanno adottato così,probabilmente difettato dalla nascita, ma non posso dirti di più, i miei genitori mi hanno trovato, ero stato abbandonato vicino ad una piazza»
«O scusa mi spiace.. «
«E di che? È una bella cosa, ho i genitori più fantastici del mondo e i tuoi? «
«Anche i miei, cioè una volta lo erano, adesso non so, ho litigato andandomene di casa ed è molto che non li vedo»
« Ah pensa a me che non li ho mai visti « -scherzò Armonio cominciando a ridere.
Doppio Riflesso era imbarazzato, si sentiva quasi in colpa per la cecità dell’altro e questi ci scherzava su e faceva anche delle battute.
« Non stare lì a pesare tutte le parole, se non da noia a me essere cieco dovrebbe infastidire te? .Guarda che è una situazione normale, anzi io conosco solo questa, non so come fai te , non l’ho mai provato. Com’è il tuo viso? «-
« Bhè.. Diciamo che … posso vedere doppio, cioè in due modi , ho la capacità di vedere le cose da due punti di vista»
«E quindi non riuscirai mai ad essere obbiettivo»
Doppio Riflesso pensò ad una risposta ponderata da dare, ma era rimasto un attimo sconcertato, effettivamente era la prima volta che vedeva la cosa in quel modo, figurarsi che si era sempre ritenuto fortunato perché vedeva il doppio degli altri.
Messa così la situazione però cambiava totalmente.
Essere obbiettivo.Vedere le cose realmente per come erano.
Ma era possibile?
Durante la settimana che passarono insieme molte delle convinzioni di Doppio Riflesso sulla vita furono scardinate e questo lo infastidiva molto.
Nonostante fosse insoddisfatto della sua situazione, era comunque molto orgoglioso di aver imparato a cavarsela da solo e in qualche modo si sentiva responsabile della propria esistenza.
Adesso con l’arrivo di Armonio capiva che ancora non c’aveva capito niente del mondo, si sentiva frustrato perché non sapeva cosa voleva e le passioni dell’altro lo facevano stare quasi male per l’invidia che gli suscitavano.
Ne avrebbe voluti anche lui d’interessi così forti, ancora non sapeva in quale ambito ma li voleva.
Armonio dal canto suo , era il ragazzo più pacifico del mondo, anche perché come diceva lui ridendo :
«Se non vuoi vedere ciò che ti da fastidio.. Non lo guardare»
E in quella breve frase scherzosa c’era molta più saggezza e profondità di quanta quei due ragazzi ne potessero vedere al momento.
I giorni passarono velocemente e arrivò il momento di salutarsi, ad Armonio fu chiesto di proseguire il viaggio con la compagnia di artisti, ma per la prima volta egli si mostrò turbato e non sembrava propenso a farlo.
L’impresario insisteva giornalmente,ma sembrava che non ci fosse modo di convincerlo.
« Ma perché non vieni con noi? Almeno prova no ? Se non ti trovi bene puoi sempre salire sul primo treno e tornare indietro, a me piacerebbe continuare il viaggio insieme a te «- provava a convincerlo Doppio Riflesso.
« No, io sto bene qui a casa mia, mi è piaciuta l’esperienza ma non ho bisogno di continuarla, scrivimi qualche volta, fammi sapere come vanno le cose nel mondo » .
Si salutarono affettuosamente con un abbraccio e Armonio si avviò verso casa.
Doppio Riflesso lo guardò imbronciato, pensò che era un altro smacco vedere l’amico felice perché stava bene lì dalla sua famiglia e non aveva necessità di staccarsi, ma quella vocina petulante nella sua testa, zitta ormai dalla notte della sua prima partenza si rifece viva, e gli suggerì qualche parolina da dire.
Non se lo fece ripetere due volte, buttò sul camion una poltrona di scena e partì all’inseguimento di Armonio.
« Bene bene signor tranquillità assoluta e ho raggiunto la pace dei sensi e sto benissimo dove sto …. Mi sembra che il suo sia un attacco d’insicurezza in piena regola! Ahh meno male che anche te hai dei dubbi sulla vita, cominciavo a sentirmi l’unico imbecille!» .
« Ma che dici Doppio Riflesso ? Non capisco ??.»
E invece capiva, e come se capiva.
Capiva che l’amico non aveva creduto alla storia dello star bene a casa e che invece la sua paura del mondo sconosciuto era lì che salutava tutti e si presentava allegramente.
« Non ci credo neanche un po’ che non sei tentato di venire, dì piuttosto che sguazzi bene fin dove conosci, ma un metro più in là affoghi»
« Arrivederci Doppio Riflesso è stato un piacere ».
E se ne andò a casa rimanendo tutto il giorno arrabbiato con se stesso perché non aveva avuto il coraggio di partire e con l’amico che l’aveva visto dentro ,fino a tarda sera quando s’imbestialì ancora di più con le ferrovie, perchè fino al giorno dopo non avevano un treno che lo portasse dove si stava recando la compagnia.

Dalla stazione al teatro ci saranno stati almeno tre chilometri, ma Armonio risolse di farseli a piedi in compagnia della valigia, in modo da smaltire l’ansia e l’incertezza mentre camminava; a metà percorso aveva deciso che magari avrebbe fatto meglio a smaltirle su un autobus,ma ormai finì il tragitto ugualmente, per punto preso.
Entrò dal retropalco con aria minacciosa, puntò dritto verso la voce di Doppio Riflesso, in bilico su una scala mentre avvitava una lampadina e guardando più o meno verso di lui gli urlò:
« Quando uno non ha niente da dire, è bene che stia zitto ».
Girò i tacchi cercando i camerini, ma era felice e sentiva il sorriso dell’amico che lo guardava dall’alto mentre si allontanava.
Il teatro era un piccolo mondo a parte, che viveva dei propri cicli e delle proprie tradizioni, la finzione scenica era la realtà di tutti i giorni , mentre la vita al di fuori, appariva quasi un racconto di altre persone, persino la luce del sole era rappresentata dalle luci di scena, visto che artisti e teatranti vivevano al chiuso e uscivano solo la notte, a opera finita.
La compagnia degli artisti itineranti era specializzata in operette, ma di tanto in tanto metteva in scena qualche commedia di solito reclutando vecchie glorie d’avanspettacolo che si ostinavano a calcare le scene, anche perché la pensione d’artista faceva si che chi aveva vissuto d’arte, morisse poi di fame.
Le commedie di solito venivano allestite quando c’era da tappare un buco, cioè quando saltava fuori una data non prevista dalla tournèe e per la quale i cantanti magari avevano già preso impegni, per cui l’impresario tutto contento chiamava questo o quel vecchio attore, in nome dell’antica amicizia e sempre,ovviamente, per amore della ribalta, e con tre soldi metteva su uno spettacolo in più.
Pensate quindi a tutt’e due le facce di Doppio Riflesso quando gli fu comunicato il nome del paese dove si sarebbero fermati quella sera, esattamente il suo.
Non ci voleva andare , pensava a tutte le scuse possibili per non scendere dal furgone,si voleva dare malato, ma non voleva neanche andare in albergo, era l’unico del paese e lo conoscevano benissimo.
Anche se nessuno della sua famiglia fosse venuto a vedere lo spettacolo, sicuramente qualcuno lo avrebbe visto e la notizia avrebbe fatto il giro dei parenti in un attimo.
Era la prima volta che si domandava cosa avesse detto la gente nel momento in cui se n’era andato, al momento non gli aveva dato peso, ma ora si rendeva conto che doveva aver sollevato un bel po’ di chiacchere e questo gli fece male, non per sé, non gl’importava dei giudizi altrui, ma s’immaginò che i suoi, specialmente i nonni fossero stati molto male, forse addirittura non erano usciti di casa per molto tempo.
Gli dispiacque tanto questo pensiero, tuttavia non si sentiva in colpa, e quindi perché tanta paura?
Se li avesse visti li avrebbe affrontati.
Aah sinuosa, insolente, fastidiosa vocetta nella testa , dietro l’orecchio, sibilante e mai sibillina, anzi fin troppo chiara:
«Se? Se? Lasci al caso? Se dici di non temere nulla vai da loro, se non temevi niente ti saresti fatto sentire già da tanto tempo … ma siccome non hai niente tra le mani da far vedere allora preferisci nasconderle ».
Si infatti, era vero, non era orgoglioso del mestiere che faceva, senza nulla togliere a chi lo praticava con passione, era stato divertente all’inizio, ma adesso quel senso d’insoddisfazione non gli dava pace .
E in più diciamocela tutta, temeva il giudizio dei suoi.
Armonio chiese in che paese si fossero fermati e immaginò da quello che gli aveva raccontato, lo stato d’animo dell’amico.
Lo cercò per un po’ tra i tecnici, poi la sarta gli spiegò d’averlo visto nel retro del teatro ,in un parcheggio che sistemava l’attrezzeria .
« Se cercavi meglio un posto più nascosto lo trovavi, sottoterra non era male ».
Uff.. Armonio era pungente sempre, sia quando voleva farti un complimento che un rimprovero.
« Guarda lasciamo perdere, non sono dell’umore per discutere ».
« Ma infatti non è con me che dovresti discutere ».
Aveva ragione, di nuovo come fa una persona a farti irritare così tanto quando sai che ha ragione?
Uno si dovrebbe arrabbiare quando vede il torto, non il giusto.
Altre stranezze dell’animo umano.
« Dai via togliti il dubbio, vacci a parlare, almeno sai di che morte devi morire ».
« Io non voglio morire di nessuna morte, e quando dovrò non voglio sapere come»
« Speriamo almeno che tu muoia con la coscienza pulita allora, a dopo , vado a provare.»
La sua coscienza era pulitissima e se la rideva continuando a tirargli i pizzicotti, era lui infatti che si sentiva poco pulito, come se avesse sbagliato sapendo di essere nel giusto.
Continuava a martellare su un chiodo, mentre si immaginava tutti i papabili approcci con i suoi, ma neanche uno lo soddisfaceva.
La serata passò come erano passate tutte le altre, la commedia andò bene e della famiglia di Doppio Riflesso neanche l’ ombra ne’ in teatro ne’ dopo; magari nessuno l’aveva visto o riconosciuto, magari anche avendolo saputo non si erano voluti far vedere.
Mentre la compagnia ripartiva l’indomani mattina, Doppio Riflesso non si sentiva affatto sollevato come si era immaginato, uno stato d’animo strano lo pervadeva, forse alla fine un po’ ci sperava che si facessero avanti loro per primi, forse si biasimava per aver preso la decisione di non fare niente.
Il non agire spesso porta più gravi conseguenze del fare tutto.
Con questi pensieri nella testa, si allontanava dal paese guardando dal finestrino la valle natia, sempre uguale,sempre verdissima, ma mai bella come ora.
Per la prima volta da quando aveva intrapreso il suo viaggio per il mondo e per la vita, due silenziose lacrime scesero dagli occhi di Doppio Riflesso, urlando mute il loro dolore, si sentiva perso proprio lì dove conosceva ogni angolo e solo, dove invece c’era la sua famiglia.
Armonio gli stava seduto accanto.
« Dai su,si vede che non eri pronto, non era il momento»
« E come faccio a sapere quando viene questo momento, non so nemmeno se lo voglio o no.»
« Fai finta di essere il cielo e vedi i tuoi pensieri come fossero nuvole,passano, cambiano forma e colore, ma sono loro che mutano non tu,dagli la direzione che vuoi,non far decidere a loro»
Essere come il cielo,chiamare il vento e soffiare via tutto.
Sarebbe stato bello imparare a farlo.


Il paese dove arrivarono era un minuscolo borghetto in cima ad una collina, dove i furgoni salirono a malapena,sbuffando e fischiando,pronti a congedarsi con onore dalla loro lunga carriera di fatiche,ma resistettero anche questa volta tra rumoracci e fumo.
Tutta la cittadina era allegramente decorata con striscioni e manifesti bianchi e rossi, che ricordavano a tutti di partecipare alla fiera annuale, allestita nella piazza centrale, dove una sconquassata orchestrina teneva il tempo accompagnata dal vociare della gente impegnata a curiosare tra tutte le bancarelle allestite.
Doppio Riflesso e Armonio si erano concessi un’oretta di vagabondaggio ,anche se venti minuti erano più che sufficienti per fare il giro del paese.
In un angolo tra la chiesa e un palazzo, sotto un arco di antichi mattoni era stata appesa una catena attaccata alla quale una lanterna in ferro battuto liberava una fiammella gialla e azzurra che si disperdeva in una spirale di fumo.
A ridosso della parete un tavolino rotondo e due sedie, su una delle quali immersa nella lettura di un libro stava una signora senza età , la sua testa era una palla di vetro con la neve finta di polistirolo dentro che vorticava ogni volta che si muoveva, il corpo non era ben riconoscibile per via del lungo mantello blu cobalto che indossava.
Dentro la palla gli occhi a forma di palle da biliardo blu scrutavano attentamente le pagine, mentre un elegante cartello scritto a mano con calligrafia d’altri tempi diceva » Si leggono le rune»
Doppio Riflesso si fermò a guardarla pensando tra lo scettico e il curioso cosa fossero le rune, quando questa senza alzare lo sguardo dal libro gli si rivolse :
« Quando al dolce pensiero silenzioso aggiungo il ricordo di cose passate, sospiro per la mancanza di tante cose desiderate.
E per vecchie pene rinnovate lamento lo spreco del mio tempo più caro.
Allora mi affliggo di afflizioni già passate, e di pena in pena tristemente ripasso il conto infelice di pianti già pianti che ancora pago come se non l’avessi mai pagato ».
« Come scusi? Dice a me? « chiese Doppio Riflesso affascinato dalle parole anche se non aveva ancora capito il senso.
« Si dico a te»
« Che belle parole ,complimenti, ma non le ho capite bene»
« Ah la prima volta che le ho lette nemmeno io,era tanto tempo fa, ma mi sembrano appropriate alla tua situazione ».
Doppio Riflesso pensò subito che volesse raggirarlo e fargli spendere due soldi e incrociò le braccia sul petto irritato :
« Guardi che non voglio che mi legga le rune o quelle cose che fa lei»
La strana signora rise di gusto e appoggiando il libro sul tavolo dopo aver messo un segnalibro si frugò in tasca e tirò fuori un sacchetto nero di velluto chiuso con un nastrino.
« Ma infatti non sei te che lo vuoi, sono loro che vogliono dirti qualcosa, avanti siediti, non ti farò pagare nulla, quando mi chiamano così è un piacere leggerle ».
Doppio Riflesso strinse gli occhi dubbioso e voltò la faccia piccola facendo comparire quella che ingrandiva.
Armonio gli dette una gomitata nelle schiena dicendogli:
« E vai la curiosità mica morde»
Bhè insomma a volte azzanna.
Si sedette al tavolo guardandosi intorno con aria un po’ colpevole.
Quanto ci facciamo ingannare dalle bugie della mente, pensiamo ai pensieri degli altri non accorgendosi che sono i nostri.
« Queste sono rune - iniziò la donna - lettere di un antico alfabeto celtico che parlano attraverso me e vengono sempre a dire qualcosa d’importante, ascoltale con il cuore , pescane cinque»
Doppio riflesso tirò fuori cinque quadrati di vetro opaco che recavano su una faccia una lettera ciascuna, sembravano disegni più che lettere e gliele porse,lei le sistemò a croce davanti a sé.
« Bene,abbiamo un guerriero qui, un guerriero senza spada»
« L’ho persa? «- ironizzò .
« No, non l’hai trovata giovane scudiero,ma hai iniziato bene la tua ricerca, solo che non puoi sapere dove andare se prima non trovi la strada»
« O bella questa, è nuova.Io penso che prima devo decidere dove voglio andare e poi chiedo la strada per arrivarci no?»
« Se chiedi la strada agli altri t’indicheranno la loro, quella che conoscono,quella che hanno fatto o quella che gli è stata raccontata.Devi scegliere te quale è la tua e ci penserà lei a portarti a destinazione»
Qualcosa cominciava a quadrare nella sua testa,forse era solo una brava imbonitrice,ma pensandoci bene tutto il suo viaggio era iniziato perché qualcuno aveva scelto il percorso per lui, e quando se n’era accorto aveva cambiato direzione.
« Guardati bene dentro, guarda te stesso e basta, non ascoltare, non giudicare, lascia scorrere, la realtà non è fuori ,ne’ piccola,ne’ ingrandita, la realtà sei solo tu»

Anche Armonio ascoltava e faceva sue quelle parole, si rese conto che pur non vedendo aveva sempre guardato la verità al di fuori,sporcata e distorta da milioni di occhi e visioni diverse.
« Andate ragazzi, godetevi la giornata e ricordatevi di gustarvi il viaggio, il punto di arrivo sarà solo un posto dove vedere un orizzonte ancora più lontano e ripartire.»
Trascorsero il resto del tempo a loro disposizione mangiando caramelle gommose e colorate ad una bancarella, ma parlarono poco tra di loro, poiché stavano facendo ambedue un lungo discorso con se stessi.
La notte in albergo, nella loro stanzetta arredata con il minimo indispensabile ritornarono alle parole della signora, Armonio sdraiato sul letto aveva accavallato le gambe una sull’altra e muoveva ritmicamente un piede su e giù.
« Io ho sempre pensato che la cosa che mi piace di più al mondo è la musica, forse è questa la mia strada. ».
« Io ho sempre pensato che la tua strada tu l’avessi già trovata, certo che è la musica, potresti andare ovunque con la tua bravura ».
« Un direttore d’orchestra cieco? Chi ti prende? ».
Ma quella sera non gli sembrava tanto stramba l’idea,iniziava a prendere forma nella sua mente,era assurda, ma non proprio impossibile come aveva pensato fino al giorno prima.
« Vuoi passare la vita a suggerire agli altri cosa devono dire dentro una buca sotto un palco? ».
« E te vuoi passarla caricando e scaricando il camion degli attrezzi aspettando cosa non si sa? ».
Facciamo cose che non vorremmo fare pensando cosa ci piacerebbe, rimanendo nel passato anche quando siamo nel presente,legati a quelli che crediamo desideri e invece sono i lamenti di ciò che non abbiamo avuto.
Sono i nostri pianti già pianti, come scriveva Shakespeare quando la signora lo leggeva.
Doppio Riflesso invidiava chi aveva una passione, un talento e si ripeteva che se li avesse avuti lui, li avrebbe sfruttati pienamente e la sua vita sarebbe stata felice, appagata, non riusciva a comprendere chi come Armonio avesse già la fortuna di conoscere se non la strada ,almeno il mezzo con cui percorrerla.
Parlarono molto quella sera e al trillo della sveglia si alzarono assonnati e in silenzio scesero a fare colazione nella piccola hall dell’albergo, mentre aspettavano gli altri notarono una cartina stradale appesa ad una parete e si avvicinarono per cercare la strada che avrebbero fatto per arrivare alla città seguente che non era lontanissima, ma dovevano andare fino alla costa, proprio sul mare, con l’estate alle porte doveva essere proprio un bel posto.
Finirono in fretta di preparare le loro cose e le caricarono sul furgone, che questa volta non ne voleva sapere di partire, dovettero scendere e spingerlo per un bel pezzo prima che si decidesse a mettersi in moto.
Ogni volta che rallentavano, il motore sembrava morire paurosamente, il macchinista alla guida, sgassava rumorosamente e il mezzo faceva un balzo in avanti,lasciando con uno scoppio una nuvoletta di pesante fumo nero.
Quello che doveva essere un breve viaggio, durò quasi tutto il giorno, con diverse soste per far ghiacciare il motore e riabboccare l’acqua nel radiatore che soffiava sbuffando come la bocca dell’inferno.
Giunsero al paese quasi al tramonto e visto che fino all’indomani mattina non potevano scaricare i camion, Armonio e Doppio Riflesso fecero due passi sul lungomare,un viale stretto pieno di aiuole curate e panchine di legno e ferro,sulle quali stavano incisi i nomi di molte persone,da sole, in gruppo, accompagnate da date o frasi commemorative del momento in cui erano state impresse.
Tra due cespugli sempreverdi potati diligentemente , c’era una fontana in marmo bianco, con una piccola vasca a forma di barchetta che riceveva l’acqua dalla bocca di un delfino, posto proprio di fianco all’imbarcazione come se fosse curioso di vedere cosa c’era dentro e sporgesse la testolina per guardare meglio.
Un gabbiano si posò sul muso del delfino, avvezzo ormai ai passanti e per niente disturbato dalla loro presenza, con le zampette gialle palmate ben allineate come un soldatino si posizionò in modo da avere il getto dell’acqua proprio sotto di sé e iniziò a tuffare la testa nello zampillo,si bagnava un attimo e si rialzava scrollandosi, poi in bilico su una zampa sola, si sciacquava l’altra, alternandole con un perfetto movimento da equilibrista.
Era un piacere vederlo.
Qualche turista scattava delle foto e le mamme indicavano ai bambini quello spettacolo insolito.
Doppio Riflesso ne era particolarmente sorpreso.
« Vedi un po’ che devo ricredermi sui gabbiani, li ho sempre visti come degli spazzini che mangiano le peggio cose trovate nelle discariche e invece guarda questo che eleganza, con quanta grazia si lava, mi pare perfino bello ».
E rimasero a lungo ad osservarlo, fino a quando aprì le ali a forma di V spiccando il volo verso la direzione che aveva puntato.
« Secondo te anche il gabbiano ha trovato prima la strada o sa dove dirigersi? » chiese Doppio Riflesso che sovente pensava alle parole della signora.
« Penso che guardi prima la strada, guarda il tempo, i venti e poi si alza in volo, fermandosi dove più gli ispira.Si penso faccia così. Ti piacerebbe fermarti qui dove c’è il mare? Dice che sia veramente ipnotico a vedersi ».
A dire la verità Doppio Riflesso non l’aveva mai visto così, ma aveva sentito molte persone che non riuscivano a vivere lontane dal mare, a queste bastava esservi vicino per sentirsi in pace e tranquillità.
Per lui era molto bello certo, specialmente alla fine della primavera, ma le sensazioni più forti da quando aveva preso a viaggiare, le aveva provate maggiormente in altri posti.
Si sentiva bene e a suo agio specialmente nei centri storici di città medievali, dove il tempo la faceva da signore incontrastato , dove tutte le storie della gente e del passato, avevano steso un velo di anime sui muri e sui tetti dei palazzi antichi, dove ogni singola pietra aveva visto e sapeva più cose della maggior parte di coloro che ogni giorno la calcavano.
C’era nel vissuto di quei posti, un calore, una poesia, un ’energia che secondo lui non si potevano trovare in nessun altro luogo.
I comignoli avevano sentito bruciare anni e anni d’inverni, le tegole avevano raccolto pioggia e neve lasciandola scorrere fino a quella successiva.
Ogni piccolo pezzetto di muro ascoltava silente le grida, i pianti , i sospiri di decine di lustri, passati e ripassati, e quei palazzi, quelle vie, erano sempre là, saggi e consapevoli della loro storia e di quanta ancora ce ne sarebbe stata.
Quanti racconti, quante epoche in quegli stemmi, in quelle targhe, in quelle statue agli angoli dei crocevia;restava il ricordo di chi le aveva fatte, ma era il loro essere in sé per sé ad affascinare chi era venuto dopo, l’imperitura gloria degli autori era stata solo un tramite.
Il mare era splendido e affascinante, ma quelle opere umane erano il risultato di un’idea, un progetto, un desiderio di qualcuno che era stato spinto da un moto dell’animo, da una passione, da una motivazione, che aveva trovato la strada per giungere fin dove voleva.
Doppio Riflesso era più depresso ogni giorno che passava, un cane che si mordeva la coda, una tigre in gabbia, sentiva di dover fare , fare, fare, fare qualcosa ma non focalizzava, vedeva energie sprecate schizzare qua e là senza meta, e avrebbe voluto incanalarle, dirigerle da qualche parte, ma non sapeva dove e in che modo, e più ci pensava , più si abbatteva, più si abbatteva più ci pensava.

« Armonio senti , io bisogna che faccia qualcosa, non so bene cosa, ma ogni volta che ci penso mi viene in mente che almeno un peso posso levarmelo. Vieni con me a casa dai miei, voglio provare a rimediare»
Questa decisione l’aveva presa così, all’improvviso, una mattina , appena sveglio, si era stancato di stare sempre male, era stufo di quel peso sul cuore che lo faceva sospirare in continuazione, magari sarebbe andata male e le cose sarebbero rimaste uguali,ma almeno si levava il dubbio,o magari sarebbero andate bene e allora la situazione poteva solo migliorare.
« E qui che facciamo ? Ce ne andiamo ? «- s’impaurì subito Armonio, che era più per il motto « armiamoci e partite » e che ancora si stupiva del coraggio che aveva avuto a prendere il treno e seguire la compagnia.
« Io vado, fai come vuoi, vieni con me o ti devo aspettare alla prossima stazione ? ».
Armonio si sentì punto sul vivo, ma capì che era un complimento quello e quella mezza aria di sfida non guastava.
« No caro questa volta il viaggio lo faccio in compagnia»
Diedero una settimana di preavviso e l’ultimo giorno salutarono tutti, a dir la verità con un po’ di magone in gola, perché con gli altri erano stati bene , iniziando i preparativi per il ritorno verso casa.
Chissà se era un andata invece?
L’animo umano si abitua talmente tanto alle situazioni , che anche quelle brutte , quelle d’insoddisfazione , quando le lasciamo ci fanno stare male, ci mettono un po’ di nostalgia nel cuore.
Dovremmo imparare che è solo paura del nuovo, perché per quanto negative , le situazioni giornaliere ci fanno sentire al sicuro, le conosciamo, riusciamo a gestirle.
Lasciamo la nostalgia per i bei ricordi, per persone e situazioni che ci hanno fatto ,stare bene, lasciamola però lì dove si trova, a suo agio nel passato, senza desiderio di riviverla , altre sensazioni saranno meritevoli della nostra attenzione, liberiamogli spazio altrimenti non sapranno dove sistemarsi.
Com’è strana l’anima, non si sa mai quanta felicità riesce a sopportare, si porta sempre dietro un po’ di dolore, quasi volesse bilanciare la gioia futura, trova la pecca nella perfezione, aspetta l’ombra appena spunta un raggio di sole.
Forse ci meritiamo appieno tutte le nostre angosce.

Il regionale partiva dal binario tre a mezzogiorno, alle undici Armonio e Doppio Riflesso erano già alla banchina a sedere sulle valigie,quest’ultimo guardava impaziente l’orologio fermo della stazione, come se improvvisamente si rimettesse in moto e velocemente raggiungesse l’ora giusta.
Le lancette immobili invece davano ancor più la sensazione che il tempo non passasse mai.
« Quanto hai detto che ci vuole ad arrivare ?»
« Tre ore, tre ore e qualcosa … » .
Venivano annunciati treni in partenza e in arrivo, l’andirivieni dei bagagli e delle persone , i saluti dei parenti, le raccomandazioni delle mamme,sembrava che il mondo davanti a loro si muovesse, mentre nella loro piccola bolla d’attesa tutto si fosse immobilizzato.
Ma si sa, come con il filo delle Parche, la ruota gira, gira e girando fa arrivare tutto, anche il treno delle 12.
Salirono sulla prima carrozza, sistemate le valigie sul ripiano porta bagagli, si sedettero accanto al finestrino l’uno di fronte all’altro.
Dopo un paio di fermate, nel loro scompartimento entrò un signore tozzo e impacciato, che con una vocina flebile chiese :
« E’ libero ? ».
Aveva un valigia talmente grossa e pesante, da potersi definire un baule mancato, fu necessario l’aiuto anche del bigliettaio per riuscire a sistemarla , dopodichè il signore affaticato si lasciò andare a sedere pesantemente soddisfatto.

Aveva il corpo a forma di piccolo armadio a due ante, con tanto di chiave dorata nella toppa e nappina colorata attaccata, come braccia e gambe dei cilindri in plastica che ricordavano i portaombrelli, al posto delle dita pennelli e matite, mentre il viso era una tavolozza da pittore, con il foro per il pollice che fungeva da bocca e tre spruzzi di colore verde per gli occhi e il naso.
Girò la chiave che aveva sul davanti,aprendo un’anta, s’intravidero tre cassetti finemente intarsiati, con rilievi rococò tra le venature più scure ed estrasse un giornale.
Sedeva spostato sulla destra, dalla parte opposta a Doppio Riflesso, che era nella direzione di marcia del treno e poteva vedere di cosa trattasse la rivista, leggendone il titolo « Antiquari e restauratori « .
Sulla copertina si vedeva due figure identiche ma diverse, in quanto quella di sinistra appariva sbiadita e dai contorni imprecisi, l’altra era nitida e spiccava sulla sfondo come se si stesse per staccare e prendere vita.
Doveva essere lo stesso quadro prima e dopo il restauro.
Che mestiere affascinante doveva essere quello, riportare a nuova vita capolavori dell’arte , risoffiare aliti vitali su bellezze ormai smorte.
Doveva essere molto difficile pensare di ridonare beltà senza sminuire quella originale ed essere talmente bravi da riprodurre il genio del primo creatore senza mai oltrepassare l’originaria mano, togliere il velo grigio degli anni trascorsi senza portar via il valore mai perso nel tempo.
Doppio Riflesso avrebbe voluto chiedere al signore qualche cosa in più, ma questi era impegnato nella lettura e non alzando gli occhi non c’era modo di cogliere l’occasione per iniziare il discorso.
Finalmente dopo tre quarti d’ora, si stancò di leggere,e arrotolato il giornale a mo’ di Cannocchiale,si alzò in piedi per sgranchirsi le gambe, stendendo le braccia verso l’alto e stringendo gli occhi.
Usò il giornale arrotolato per grattarsi la schiena, si stropicciò gli occhi, rimettendosi a sedere.
« Mi scusi,gentilmente, ma ho visto il giornale.Lei è un antiquario o un restauratore ?»
« Un po’ tutti e due, diciamo che ho iniziato come restauratore e poi quando me lo sono potuto permettere, ho iniziato anche ad occuparmi personalmente di antiquariato »- raccontò con la sua vocina da usignolo il signor Ridò, così disse di chiamarsi.
Armonio dovette girarsi verso il finestrino e far finta di sbadigliare.
Quella vocina la trovava esilarante e non riusciva a trattenersi dal sogghignare, il tono stridulo e sgraziato poi era una simpatica e buffa offesa al suo orecchio musicale, se avesse potuto vedere il contrasto con il fisico grosso e tozzo, allora si che avrebbe riso di gusto.
A Doppio Riflesso veniva in mente una domanda dopo l’altra,e visto che il suo interlocutore sembrava avere la passione per la chiacchiera oltre che per l’arte, passò tutto il resto del viaggio ad informarsi su ogni piccolo dettaglio che poteva avere quell’interessante mestiere.
Dentro di sé, un’emozione viva e positiva, sopita da tempo, si risvegliava, facendosi largo a gomitate verso la doppia testa di Doppio Riflesso che sorrideva annuendo, e continuava ininterrottamente a voler apprendere tutto quello che era possibile dal signor Ridò.
Era tanta la passione vista in quel giovane da dargli il suo biglietto da visita quando giunse alla sua stazione d’arrivo e dicendogli:
« Bhè, tieni, questo è il mio biglietto, non si sa mai nella vita …».
In effetti è vero,specialmente quando non si vuol sapere, non si sa mai niente nella vita.
Quando giunsero a destinazione Doppio Riflesso ebbe paura,era stato così preso dalla conversazione da non pensare al perché stava tornando a casa, improvvisamente pensò di aver sbagliato tutto e gli venne voglia di risalire sul primo treno e tornare indietro, l’entusiasmo che aveva provato fino a pochi minuti prima era scomparso, non sapeva bene quale doveva essere il primo passo da fare e rimaneva lì,fuori dalla stazione con la valigia in mano come se fosse la prima volta che vedeva quel paese.
« Ehi, va bene che sono bravo ma se non mi dici cosa dobbiamo fare e dove dobbiamo andare,non è che ti posso portare in braccio io»
Armonio lo incalzò percependo l’ansia dell’amico e rimase qualche istante ad attendere risposta.
Non avendola insistette.
« Andiamo su, non è che mi sono licenziato per niente, sbrighiamoci ad affrontare questa situazione, dai forza che ci sono anch’io .».
Doppio Riflesso alzò gli occhi da terra e mentalmente s’immaginò di sfoderare una scintillante spada argentata, guardò dritto davanti a sé, ruotò il viso sistemando la faccia ingrandita e finalmente si mosse.
Ad ogni passo il cuore gli saliva in gola ancora di più, aveva un nodo allo stomaco dal nervoso, ma di positivo c’era che la vocina antipatica nella sua testa se ne stava zitta e buona, forse era un buon segno, magari stava facendo la cosa giusta.
Da lontano apparve la sua casa, ancora uguale, chissà perché si era immaginato di trovare qualcosa di diverso, che in qualche modo si aspettassero il suo ritorno,ma la via era quella di sempre,il pezzo di marciapiede sbeccato era ancora al suo posto e anche il cancello del giardino cigolò come al solito aprendolo.
Le aiuole del giardino erano state seminate a pansè, come sempre in quel periodo dell’anno e nell’orto s’iniziavano a vedere i primi frutti che la semina invernale aveva preparato.
Salì i gradini fino alla porta d’ingresso, con Armonio che lo seguiva silenziosamente, chiedendo solo di tanto in tanto quali ostacoli ci fossero e sentendo la strada con il suo fidato bastone bianco.
Pensò di aprire la porta come sempre,sapendo che non era chiusa ,poi ci ripensò e suonò il campanello.
Si sentiva estraneo e non era affatto una sensazione piacevole.
« Chi è? «- chiese la mamma affacciandosi alla finestra della cucina a pianterreno.
Per un attimo lo guardò sbigottita, poi iniziò a piangere e a ridere nello stesso tempo,precipitandosi ad aprire la porta.
Lo abbracciò ricoprendolo di baci, e altro non sapeva fare se non chiamarlo per nome e continuando a baciarlo.
Continuò così per un bel po’,poi si asciugò le lacrime con il grembiule da cucina e li fece entrare in casa,precedendoli in salotto.
Si presentò all’amico e iniziò a chiedere se avessero fame o sete.
Tutta quella scena era agli occhi di Doppio Riflesso abbastanza sconcertante,non si sentiva sollevato dalla calorosa accoglienza,avrebbe voluto parlare, dire un sacco di cose,ma non trovava una frase completa nella sua testa,sembrava fosse tornato da una vacanza,mentre sapevano benissimo tutti come erano andate le cose.
Lo irritava tutta l’euforia e la gioia della mamma,era come se facesse finta di niente,mentre lui in tutti quei mesi era stato tormentato da dubbi e angosce,e proprio non riusciva a farli sparire così come se niente fosse.
Si sentiva anche un po’ in colpa per questi pensieri,sicuramente l’unica cosa che in quel momento contava per sua madre,era vederlo di nuovo,sano e a casa,di sicuro anche lei non doveva aver passato dei bei momenti.
« E il babbo? Dov’è? E i nonni?»
Venne a sapere che i nonni stavano abbastanza bene e sicuramente erano a casa, per loro era quasi ora di cena,il babbo sarebbe rientrato a momenti.
E infatti dopo pochi minuti,si udì la porta aprirsi e rimase tale,visto che dalla soglia si vedeva il salotto.
Il papà rimase fermo,guardava negli occhi Doppio Riflesso e non pronunciava parola.
Rimasero così a guardarsi, la mamma non era più così euforica come un momento prima,Armonio avrebbe pagato qualcuno perché gli descrivesse cosa stava succedendo,anche se più o meno si stava immaginando la scena così come si stava svolgendo.
Improvvisamente da dietro le spalle del babbo, comparve il nonno con un paniere di vimini coperto da un tovagliolo blu, sicuramente aveva colto primizie nell’orto e gliele portava prima di andarsene a cena a casa sua.
Rimase un attimo sbigottito,poi come se fosse la cosa più naturale del mondo,scostò il genero che rimaneva impietrito tipo statua di sale, gli passò oltre,si avvicinò a Doppio Riflesso e dopo avergli dato una sonora pacca dietro il collo esclamò:
« Bhà .. Chi non muore si rivede! Ce ne hai messo di tempo! Allora com’è questo mondo ? ».
« Bello nonno, veramente bello »
E saltatogli al collo cominciò a piangere come un agnellino.
E più piangeva, più stringeva il nonno e sentiva sollievo e gioia e paura, ed era come se avesse ancora cinque anni e contemporaneamente si sentiva un uomo, pianse tutte le lacrime che non aveva pianto, e si sentì forte perché così era adesso e non aveva affatto paura di farlo vedere.
Iniziò a raccontare come gli fossero andate le cose, il babbo ancora muto,stonato come se avesse preso una botta in testa fu spedito a chiamare la nonna,mentre la mamma ,manco a dirlo,preparava cena per sei,tirando fuori il servito delle grandi occasioni e apparecchiando in sala da pranzo, con tanto di bicchieri distinti per l’acqua e per il vino.
Saltò fuori da non si sa dove una bottiglia di quelle speciali ,per le grandi occasioni,quelle che aspettano, aspettano,s’impolverano e mai nessun evento è così importante da far verificare se nel frattempo il paziente vino è diventato aceto.
Ma quella sera fu giudicata talmente speciale che il nonno sentenziò di averlo sempre saputo che prima o poi quella l’apriva.
La nonna ebbe un principio di svenimento e sdraiata in poltrona , mentre la mamma la sventolava con il fido grembiule, si riebbe solo dopo aver bevuto alla goccia un bicchiere di cognac,quello non delle grandi occasioni, ma delle grandi paure, un toccasana in caso di spavento,specialmente quattro dita a digiuno.
La cena trascorse allegramente, a parte la catatonia del babbo, che da bravo uomo forte tutto d’un pezzo, non era riuscito a trovare mezza frase di rimprovero e neanche un quarto di biasimo e aveva rimandato la paternale al giorno dopo
Però aveva serie intenzioni di farla.
Armonio trovò tutti simpatici,intuiva che il nocciolo della questione doveva venir fuori prima o poi, ma come inizio andava più che bene,vuoi anche per la sua presenza, i toni erano amichevoli e quando se ne andarono a dormire nella camera di Doppio Riflesso,era più che contento di averlo seguito.
Era felice per l’amico,era felice per la decisione di essere venuto con lui,era felice per il mondo,si addormentarono appena toccato il letto.
La mattina seguente per qualche istante Doppio Riflesso non riusciva a capire dove fosse, gli sembrava di essere in qualche albergo, ma non ricordava quale,poi aprì gli occhi e vide la tenda familiare che faceva filtrare la luce in un determinato modo e con un certo colore e si godette quel risveglio beato, se non che, dopo essere stata così pacatamente silenziosa, la petulante vocina gli dette il buongiorno:
«Non penserai mica di essertela cavata così vero? Ci devi parlare e per bene,altrimenti non ha senso che tu sia venuto»
« Uffa e un attimo no? Almeno fammi godere questi cinque minuti appena sveglio »
« Noo, te lo ricordo subito, altrimenti ti fai prendere dall’euforia del momento,dai vizi di mamma e vogliamoci tutti bene e tutto va a finire a tarallucci e vino.Poi sono io che ti devo sopportare tra un po’ con le tue beghe e i tuoi vortici mentali ».
Che dire ….quando uno ha ragione, ce l’ha.
Scesi a fare colazione, trovarono tutta la famiglia che li attendeva, come se non avessero niente altro da fare che rassicurarsi nuovamente di averlo lì davanti a loro.
Il babbo che era riuscito ad aprire bocca, ma in compenso non aveva chiuso occhio si fece coraggio:
« Ora che sei tornato, cioè sempre che tu sia tornato,voglio dire se sei tornato per essere tornato..»- e con quel panegirico confuso espresse chiaramente lo stato d’animo di tutti.
« Volete sapere se resto ? Non lo so , non credo, non per molto»
La mamma fece finta che nell’altra stanza avessero urgente bisogno di lei, ma Doppio Riflesso la fermò.
« Sono tornato per parlare,sono tornato perché voglio continuare a fare quello che sto facendo, ma senza il peso che mi dava il non sentirvi o il non parlarvi più»
« E cosa stai facendo ?»- iniziò il babbo cominciando ad agitarsi.
« Cerco la strada»
Il papà stava per piantare un pugno sul tavolo, ma il nonno lo precedette spostandolo una spanna più in là,colpì il vuoto con effetto comico anche perché si sbilanciò e siccome non se l’aspettava rimase a bocca spalancata.
« Ho sempre saputo che un doppio specchio riflettente come te non avrebbe avuto un esistenza semplice,ma non per noi,ma per te stesso, non è facile la vita per chi decide di guardarla ,ne ho visti pochi,pochissimi.Io non mi ricordo se li invidiavo o li biasimavo,ma di certo so che uno ogni cento o uno ogni centomila non se la sente di osservare il mondo così com’è,ma ne vuole uno suo.Se è questo che ti fa stare bene fallo,l’importante è che se inizi, fallo fino in fondo o sarai più infelice di tutti gli infelici che non ci hanno pensato mai,perché non sapere del paradiso ti può rendere triste,ma guardarlo da lontano ti può portare alla follia»
Il discorso del nonno lasciò tutti basiti, da dove arrivava quella lungimiranza, quell’apertura mentale, quella filosofia di vita così tollerante e poetica?
Era lo stesso uomo che aveva lavorato in fabbrica una vita e che lo aveva « costretto » ad andarci insieme ai suoi genitori ?
Chi era costui?
Armonio scoppiò in un applauso spontaneo che immediatamente soppresse,rendendosi conto della pesantezza della situazione.
La mamma mise la mano destra sinistra sul fianco e con la destra lo puntò minacciosa:
« Babbo, ma cosa stai dicendo? Io non ti ho mai sentito fare questi discorsi,lo incoraggi ad andarsene ?».
« Certo, e a tornare se vorrà tornare. E non lo sto incoraggiando,non ne ha bisogno,lo sto ascoltando.»
La conversazione per quella mattina finì lì,più per lo sconcerto delle parole del nonno che per mancanza di argomenti,comunque Doppio Riflesso e Armonio decisero di trascorrervi qualche settimana, le coccole di nonna e di mamma non mancavano,la campagna era rilassante come sempre e magari riuscivano ad addolcire anche il babbo,provando a parlare con calma e smorzando i toni quando s’infervoravano, ma la cosa che più li incuriosiva era sapere da quale esperienza o avventura di vita fossero scaturite le parole del nonno.
Aveva parlato solo con il senno del poi o aveva qualche segreto rimasto in fondo al cuore per tutto quel tempo,che la ribellione di Doppio Riflesso aveva riportato alla luce?
Forse era uno di quelli che ,come aveva detto lui,guardato il paradiso da lontano erano stati condotti alla follia?
Ma il nonno non sembrava folle, non nel senso comune del termine.
Voleva capirci di più,gli sembrava un’altra di quelle affascinanti frasi sibilline ,che intuisci ma non capisci subito, ma senti che hanno qualcosa d’importante da insegnarti.
Una sera furono invitati a mangiare a casa dei nonni,cenarono presto come era loro abitudine,perciò quando finirono il sole doveva ancora tramontare e andarono a godersi la vista dal dondolo del portico.
Le colline davanti a loro disegnavano onde all’orizzonte,con le cime ancora assolate e le ombre rotonde che si appoggiavano sui prati,come coperte stese per riscaldare l’erba nel fresco della notte.
Le lucciole ancora non si erano svegliate,mentre i girasoli si davano la buonanotte assopendo le corolle in braccio allo stelo,come se la natura gli stesse cantando una ninna nanna.
Doppio Riflesso la prese larga,ma abbastanza diretta:
« Nonno cosa volevi fare alla mia età ?»
Armonio si voltò verso la domanda.
« Tante cose, l’astronomo, il giocoliere,niente, da piccolo volevo essere un gatto, un gatto nero,con la coda lunga e folta,quelli che incontri solo di notte,un gatto della luna»
I ragazzi risero,bella l’idea del nonno come un gatto, sconcertante l’idea che fosse stato un bambino,nessun vecchio sembra essere stato giovane.
« E poi ? Perché non l’hai fatto?»
« Oh non sapevo miagolare.»
Sorrisero.
« Dai dico sul serio, dimmi perché ».
Il nonno rifletté , e si perse nei ricordi.
Semplicemente ad un certo punto si era dimenticato , preso dalla vita si era scordato di viverla.
Dopo tanti anni passati a far andare le cose si era ricordato che erano state le cose a far andare lui, certo aveva amato molti eventi, la famiglia, la nascita dei figli, dei nipoti, aveva fatto in modo che le persone attorno a lui fossero serene per quanto gli era riuscito , ma pensandoci adesso; a dir la verità era dalla fuga di Doppio Riflesso che ci pensava , si rendeva conto di non aver visto il paradiso da lontano, ma c’era stato un tempo in cui aveva desiderato farlo.
Non gli sovveniva come e perché avesse smesso, e ogni ragione datasi, gli sembrava una scusa, un modo per giustificarsi.
Non voleva dire « ah tornassi indietro «, perché quella frase gli metteva tristezza, ma a conti fatti riusciva a intravedere nel nipote qualcosa che a suo tempo aveva solo intravisto e mai realizzato.
« Sei in pace con te stesso nonno ? »- gli chiese, sentendosi in imbarazzo,poiché quella era una domanda da adulto e lui si sentiva davanti ai suoi occhi ancora piccolo.
« Si , direi di sì.Non posso fare altro alla mia età se non essere in pace, quel che è fatto ormai è fatto»
Non era un gran che come risposta.
Possibile che nessuno avesse mai la parolina magica, l’apriti sesamo delle domande insolute ?
Armonio, non avendo conosciuto i nonni, era affascinato da quel signore energico ,avanti negli anni e che pure aveva avuto la forza di mettersi in discussione e di ammetterlo,lo ammirava, qualsiasi cosa avesse deciso per la sua vita, voleva arrivare alla fine come lui, in pace nonostante tutto.
Quanto sarebbero rimasti ancora non lo avevano deciso, ma una volta ripartiti voleva tornare dai suoi e mettersi a studiare musica seriamente, aveva la fortuna di abitare in una città abbastanza grande, quindi c’erano ottime possibilità a livello scolastico, e poi dopo non lo sapeva e non lo voleva sapere, intanto la strada l’aveva imboccata.
La vedeva con i suoi occhi immaginari, se la raffigurava dritta e liscia, di asfalto scuro e brillante, senza nemmeno un sassolino o una buca ad interrompere quella perfezione, la bella riga bianca nel centro proseguiva all’infinito e ai lati un morbido deserto di sabbia gialla delineava i bordi.
Non sapeva se si stava immaginando bene il deserto, ma non importava, nella sua mente, quindi anche nella sua realtà era così.
Doppio Riflesso era molto incerto sul da farsi, quei giorni in campagna erano stati proprio belli, senza pensieri, in tranquillità, ma continuare a gongolarsi in quella beatitudine gli sembrava un modo anche poco fantasioso , di rimandare il problema.
Sapeva benissimo che di lì a poco, si sarebbe assuefatto a quella quiete e sarebbero riaffiorate nella sua mente tutte le angosce momentaneamente sopite.
Doveva ripartire , ripartire adesso, con un pezzetto di cuore più tranquillo e un’oasi di pace intatta pronta ad accoglierlo ogni qual volta ne avesse avuto voglia.
C’era ancora lo scoglio del babbo però, finché parlavano del più e del meno bene, ma come si toccava l’argomento , voltava le spalle e se ne andava senza possibilità di parlare.
Tornando dal lavoro nel tardo pomeriggio, trovò Doppio Riflesso appoggiato al cancellino di legno bianco che chiudeva il viottolo di ghiaia bianca del giardino.
In mano aveva un biglietto, piccolo, di cartoncino fine madreperlato,su un lato caratteri ridondanti e precisi indicavano un indirizzo, sull’altro l’immagine di un famoso quadro con scritto sotto « Un opera d’arte è un eroe omerico, immortale tra gli dei»
« Bhè cos’è? Chi è questo tizio? »- si alterò già il babbo rigirando tra le dita di ferro quel biglietto da visita.
« E’ un restauratore che ho conosciuto sul treno, voglio andare a trovarlo, mi piacerebbe l’idea di lavorare con lui»
« Guarda che bisogna studiare per fare quel mestiere e bisogna esserci portati ».
« Allora ho fatto proprio bene a venire via dalla fabbrica, non aveva studiato per entrarci e non ero portato ».
Il babbo si guardò frettolosamente intorno, ma non trovando nessun oggetto piatto e resistente sul quale piantare un bel colpo a mano aperta, aprì con rabbia il cancellino e lo sbatté violentemente dietro di sé facendolo ondeggiare pericolosamente.
« Io vado con o senza la tua approvazione, mi sembra chiaro che neanche questa volta stavo chiedendo il permesso, ma t’informavo semplicemente sui fatti, da persona ragionevole quale non dimostri di essere tu».
La mamma ascoltava di nascosto alla finestra, torcendosi tra le mani un altro povero grembiule, osservò tutta la scena e udendo quelle ultime parole, sentì letteralmente i piedi del babbo frenare sul ghiaino e voltarsi di 180 gradi.
Prima che scoppiasse l’alterco uscì decisa di casa e gli si piantò fermamente davanti con le braccia incrociate e uno sguardo che dopo anni di matrimonio significava questo e quell’altro mondo.
Il babbo gli rispose con un brontolio e la conversazione breve, intensa e afona finì lì.
Cenarono quasi in silenzio quella sera, le forchette tintinnavano paurosamente , l’unico rumore era quello dell’acqua quando veniva versata nei bicchieri.
Mentre stavano finendo entrò allegramente il nonno, sembrava avere le molle sotto i piedi dalla gioia, cioè le aveva per d’avvero, ma era un balzellare più felice quella sera.
« Allora giovani quando si parte ?»
« Ah l’ultimo a saperlo sono stato io? « proferì parola il padre per la prima volta da quando si era seduto a tavola.
« E meno male, guarda che muso !» - rincaro’ la dose il nonno, rendendogli ancora più amari gli ultimi bocconi della cena, che dalla rabbia aveva quasi deciso di lasciare nel piatto, ma poi dal nervoso buttò giù.
« Domattina non so a che ore, non ho guardato gli orari, ma qualche treno ci sarà»
Un treno c’è sempre in qualsiasi stazione .
Il nonno era veramente felice per loro.
E così partirono, ognuno per la sua strada, un pezzeto l’avevano percorsa insieme e chissà se tra un bivio e una curva trovarono mai la loro destinazione, forse un giorno uno di loro distolse gli occhi dal selciato e si perse, magari no.
Ogni cartello che trovarono fu fonte d’ispirazione o di smarrimento, le intuizioni non vennero sempre riconosciute e spesso si fidarono della mente che, ahimé, spesso mente.
Capirono solo che riflettere e vedere non con gli occhi erano i loro talenti, il fatto che poi li volessero sfruttare è tutt’altra storia.