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PREDICARE La fede nasce dall'ascolto, Bruno Rostagno, pag. 74 A4 anno 2013 € 9,00 Collana Opere dello SpIrito n. 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PREDICARE LA FEDE NASCE DALL'ASCOLTO GUIDA ALL'OMILETICA

 

DALLA PREFAZIONE di PAOLO RICCA

«Quando apri il libro degli evangeli, eleggi o ascolti come Cristo vada in un posto oppure in un altro, o come qualcuno venga condotto a lui, devi, per quel mezzo, prendere coscienza della predicazione o dell’Evangelo mediante il quale egli viene a te o tu sei condotto a lui. Infatti predicare l’Evangelo non è altro che questo: Cristo viene a noi o ci conduce a lui. Ma quando osservi come egli opera e come aiuta ognuno di quelli dai quali va o che sono condotti a lui, sappi che è la fede che compie in te quest’opera e offre alla tua anima lo stesso aiuto e la stessa bontà mediante il suo Evangelo»1. Così Lutero descrive la predicazione cristiana, e così, fondamentalmente, ne parla questo Manuale per predicatori (anche così potremmo intitolare lo scritto di Bruno Rostagno, Predicare. La fede nasce dall’ascolto), che non a caso insiste a più riprese sul «movimento del testo» (pp. 22, 23, 24, 31): «Per predicare bisogna entrare nella vita del testo, nel suo movimento» (p. 22).
Lutero, nel brano ora citato, chiarisce bene che cos’è questo «movimento del testo»: è il movimento col quale Cristo viene a noi o ci conduce a sé. Nel movimento delle parole umane si muove e avanza verso di noi colui che è la «Parola fatta carne», cioè fatta uomo, fatta storia, iscritta nel vivo dell’esperienza e della memoria umana, parola di Dio intrecciata nella trama del linguaggio umano, che ci raggiunge oggi come allora. E qui comprendiamo la seconda parte del titolo: «La fede nasce dall’ascolto», che è un’affermazione dell’apostolo Paolo, che però prosegue dicendo: «e l’ascolto si ha per mezzo della parola di Cristo» (Romani 10,17). La fede nasce dall’ascolto perché nell’ascolto della predicazione avviene l’incontro con Cristo che genera la fede.
Basta questa constatazione elementare a illustrare il valore assoluto della predicazione per la genesi e la crescita della fede, e quindi per l’esistenza stessa della chiesa. La chiesa nasce e rinasce dalla predicazione, che Lutero chiamava volentieri «Evangelo orale». Non è certamente un caso che Gesù non abbia scritto nulla sulla carta: ha scritto solo nel cuore di molti mediante la sua predicazione. Gesù è stato anzitutto predicatore. «Dopo che Giovanni [Battista] fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea predicando l’evangelo di Dio e dicendo…» (Marco 1,14). Poco dopo disse ai discepoli: «Andiamo altrove, per i villaggi vicini, affinché io predichi anche là; perché è per questo che io sono venuto» (Marco 1,38). Gesù è venuto per predicare. Non stupisce quindi che il primo titolo dato dal popolo a Gesù sia stato quello di «profeta», cioè di uomo incaricato da Dio di portare al popolo la sua Parola; tanto che alcuni lo scambiarono per Giovanni Battista risuscitato (Marco 6,14); altri lo chiamarono «grande profeta» (Luca 7,16) o anche «un profeta come quelli di una volta» (Marco 6,15).
Gesù stesso s’è considerato profeta quando disse di sé: «Nessun profeta è disprezzato se non nella sua patria, fra i suoi parenti e in casa sua» (Marco 6,4). Gesù dunque è stato anzitutto un predicatore, nella scia di Giovanni Battista «profeta dell’Altissimo» (Luca 1,76) e dei profeti dell’Antico Testamento. E non ha chiesto ai suoi discepoli di mettere per iscritto le sue parole. Lo hanno fatto di loro iniziativa, per nostra grande fortuna e benedizione, ma non perché Gesù lo abbia loro chiesto: ha chiesto loro di predicare, come aveva fatto lui, non di scrivere. Gesù, cioè, ha puntato tutto sulla Parola: ad essa sola ha affidato tutto il suo messaggio e tutta la sua opera. E attraverso la sua parola e, per estensione, quelle della Scrittura che «gli rendono testimonianza» (Giovanni 5,39) e parlano di lui (Luca 24,44), Gesù è presente a ogni generazione, fino alla fine della storia. E lo è, appunto, in primo luogo attraverso la predicazione dei discepoli che egli ha trasformato in apostoli, cioè in suoi inviati, uomini e donne incaricate di annunciare a tutti lo stesso Evangelo che egli ha predicato a loro e alla sua generazione. «Andate per tutto il mondo, predicate l’evangelo a ogni creatura« (Marco 16,15).
È a motivo di questo ordine che si predica e si continuerà a predicare nella chiesa e nel mondo, «a tempo e fuor di tempo» (II Timoteo 4,2), a savi e ignoranti, a ricchi e poveri, a credenti e non credenti, a intellettuali e manovali, a uomini e donne di potere e a uomini e donne senza potere, insomma, appunto, «a ogni creatura». Tutti, senza eccezioni, hanno il diritto di ricevere l’Evangelo. Ne hanno anche bisogno, anche se molti pensano di no. Comunque ne hanno diritto, e a questo diritto corrisponde un dovere di chi glie lo deve annunciare.
Paolo di Tarso, il più grande apostolo di tutta la storia cristiana, sentiva tanto questo dovere da considerarlo un suo «debito»: scrivendo ai cristiani di Roma dice di sentirsi «debitore» dell’Evangelo verso tutti (Romani 1,14). Ed è proprio il desiderio di sdebitarsi completamente nei confronti di tutti che lo indusse a progettare un viaggio missionario spingendosi verso Occidente fino alle estremità del mondo allora conosciuto («andrò in Spagna»: Romani 15,28), «esercitando il sacro servizio dell’Evangelo di Dio» (Romani 15,16).
Non c’è dunque alcun dubbio che la predicazione sia, nelle varie forme in cui può essere svolta, la funzione principale della chiesa, la prima ragion d’essere della sua esistenza, il compito primario suo e di ogni suo membro dato che, come dice giustamente l’opera che presentiamo: «Ogni membro vivo della chiesa è un predicatore o una predicatrice dell’Evangelo. La predicazione più importante è proprio questa:la predicazione che viene fatta ogni giorno, nelle varie situazioni di cui i cristiani sono partecipi, nelle forme diverse che corrispondono ai doni di ciascuno». Di solito la si chiama «testimonianza», «ma la testimonianza è appunto la forma quotidiana della predicazione».
Ma che cosa significa «predicare»? Che cosa distingue una predicazione da altri discorsi pubblici, come ad esempio una conferenza o una relazione? La differenza è questa: che in una conferenza chi la tiene porta una parola sua, un pensiero suo, un sapere suo; chi predica porta invece la parola, il pensiero, il sapere non suo, ma di un altro. «La predicazione è un discorso umano nel quale e mediante il quale Dio stesso parla, come un re per mezzo della bocca del suo araldo»2, come uno Stato parla per mezzo della bocca del suo ambasciatore. Ecco quel che è un predicatore, uomo o donna che sia3: un araldo, un ambasciatore. Lo pensava anche l’apostolo Paolo che dice: «Noi [apostoli, pastori, predicatori] facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (II Corinzi 5,20).
Tra le varie forme di predicazione, quella classica, tradizionale e – si può dire – universalmente praticata avviene nel corso del culto domenicale, di cui costituisce «il momento centrale». A dire il vero, tutti i momenti del culto sono centrali, perché in ciascuno di essi è centrale il Signore, che convoca l’assemblea e la presiede. Perciò è centrale l’invocazione iniziale (che cosa sarebbe il culto se non si svolgesse «alla presenza di Dio»? Un culto di Dio senza Dio? Un’assurdità o una tragica farsa). È centrale il battesimo (da cui nasce la chiesa e comincia la vita cristiana). È centrale la confessione di peccato e l’annuncio della grazia (come potremmo sussistere davanti a Dio se non riconoscessimo le nostre colpe, palesi e nascoste, e non ci affidassimo totalmente a Dio presso il quale c’è «misericordia e abbondanza di redenzione»: Salmo 130,7). È centrale la lettura biblica (che cosa c’è di più centrale nella vita della chiesa della Bibbia aperta, letta ed ascoltata? Nella Scrittura non sono forse dichiarati più volte «beati» gli orecchi di «quelli che odono»?). È centrale la celebrazione della Cena del Signore (supremo atto di comunione sua con noi e nostra con lui). Sono centrali, ovviamente, tutti i momenti di preghiera, siano essi quelli di lode, o di adorazione, o di intercessione, e tutti i momenti di canto, con i quali la chiesa sulla terra si unisce a quella celeste. È centrale, infine, la benedizione finale (che comunità sarebbe quella che se ne va dalla «casa di Dio» senza la sua benedizione? Non è forse questa l’unica sua forza e consolazione?).
Come si vede, tutto è centrale nel culto cristiano, compresa la colletta se questa viene vissuta, come dovrebbe, come atto di culto. In verità, il culto cristiano è policentrico. È però anche vero che il momento della predicazione ha un’importanza unica perché in essa, secondo la sua promessa, il Signore parla. La dice Gesù stesso: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Luca 10,16). Perché dice così? Perché la parola del predicatore non è sua, ma di Gesù. Egli non ci manda a «dire la nostra», ma la sua; la parola di cui siamo debitori non è la nostra, ma la sua. (CONTINUA...)

 

 

 

 

 

 
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