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 EAN 9788866152705

ALESSANDRO ARAGONA D'APPIANO PRINCIPI SUOI CONGIUNTI E AUTORITA' PIOMBINESI DELL'EPOCA
In carteggi inediti giacenti nell'Archivio di Stato di Firenze

Nedo Tavera
pp. 234 ill. f.to 17x 24 anno 2024 € 18,00
EAN 9788866152705
Collana Biblioteca di Storia n. 45

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 ALESSANDRO ARAGONA D'APPIANO PRINCIPI SUOI CONGIUNTI E AUTORITA' PIOMBINESI DELL'EPOCA In careggi inediti giacenti nell'Archivio di Stato di Firenze

PREMESSA

Una precisazione d'obbligo: esiste una vecchia consuetudine che ha preso piede in scritti vari, come pure in opuscoli e in mass media, nei quali si tratti di storia piombinese, e cioè l'abitudine invalsa di deno-minare popolarmente "Appiani" i discendenti di Jacopo I d'Appiano, ossia i Signori e Principi di Piombino; questo accade per il vezzo di sem-plificare banalmente i cognomi, come capita di vedere similmente con i "Gherardeschi", per indicare i "della Gherardesca". È bene sottolineare che sostituire la casata "d'Appiano" con il nomignolo, appunto, di "Appiani", non trova affatto riscontro nella documentazione storica di tutta la dinastia di detti Signori e Principi, i quali non si sono mai auto-nominati diversamente, tranne in rarissime eccezioni, da quanto richiedeva il prestigio del loro lignaggio. Numerose lettere autografe e atti storici attestano come tutti i successori di Jacopo I, sia in linea diretta che collaterale, si siano meticolosamente proclamati della casa "d'Appiano", o al limite "Appiano", aggiungendo al proprio onomastico, da Jacopo III in avanti, il secondo gentilizio "d'Aragona", ereditato dallo stesso Jacopo III per nascita dalla madre, Donna Colia d'Aragona; quindi, troveremo sempre i Signori di Piombino, loro rampolli e discen-denti proclamarsi rigorosamente: "d'Aragona d'Appiano", "Aragona d'Appiano", "Appiano d'Aragona" oppure "Aragona Appiano".
Nella corrispondenza vergata via via dai propri segretari, Jacopo VI firmava abitudinariamente in calce con autografo decifrabile all'incirca come «Il S.re di Piombino», o forse meglio «Il Si.r di Piom-bino», mentre la formula convenzionale della chiusa epistolare di Alessandro I, figlio di costui, il giovane Signore assassinato a fine Cinquecento, era l'annotazione di suo pugno «Per farvi piacer» con firma «Aless:o Arag:na d'App:o». Con semplice abbreviazione si sot-toscriveva invece la figlia di Alessandro, Isabella: «Isab.a P.a di Piomb.o»; mentre il figlio, Jacopo VII, nei pochi anni che ebbe pos-sibilità di sottoscriversi, poté fregiarsi del titolo di Principe conferitogli dall'imperatore: «Il Prencipe di Piombino».
Chi si è avvalso dell'improprio nome di famiglia "Appiani", dopo alcuni storici antecedenti come Galluzzi e Cesaretti, è stato Licurgo Cappelletti, che ne ha fatto uso costante, ingenerando così un filone ininterrotto in molta successiva storiografia. Come riflesso in ambito culturale in senso lato, si veda l'intitolazione di primo Novecento della via "Emanuele Appiani" a Piombino.
Premessa questa puntualizzazione, occorre sbarazzare il cam-po dall'inesattezza di una data ritenuta irrefutabile e diffusa anch'essa in opuscoli e mass media: il 1529, come anno di nascita di Jacopo VI d'Aragona d'Appiano, Signore di Piombino e onoratissimo ammiraglio delle galee del Duca di Toscana. Presso l'Archivio di Stato di Firenze (A.S.F.), fondo Principato di Piombino, Miscellanea, F. 643-643 bis, esiste un inserto di documenti su cui un archivista annotò l'esatezza della data, il 1532:

«Costituto di testimoni sopra la nascita di Jacopo VI d'Appiano seguita nel di 8 febbrajo 1532, nella quale circostanza furono istituite in quel giorno le Ferie Piombinesi»
Detto inserto, tuttavia, contiene solo atti del 24 novembre 1562 riferibili alla Rota Genuensis e vertenti su di una lite sorta in Genova proprio col Signore di Piombino: «quedam lis inter Joannem Andream Casinellum», procuratore di Negrone di Negro, appartenente ad una delle più antiche e nobili famiglie genovesi, e «Petrum Andream de Rocataliata uti procuratorem Ill.mi D.ni Jacobi sexti de Aragonio de Apiano Plumbini Domini». Di fatto, nessun documento specifico ine-rente alla nascita del Signore trovasi all'interno del citato inserto e dell'intera filza. Oltre alla predetta rettifica della data storica, altre ne troveremo nel prosieguo della lettura.
La presente ricerca archivistica, svolta presso il predetto Archivio di Stato fiorentino, è incentrata essenzialmente sulla cono-scenza delle figure mai indagate documentalmente di Alessandro Aragona d'Appiano e dei suoi congiunti, mediante il supporto delle lettere che hanno lasciato: il padre, Jacopo VI, la presunta madre, Virginia Fieschi, la moglie, Isabel de Mendoza, la figlia, Isabella, il suocero, Jorge de Mendoza, lo zio, Alfonso. Altre figure di contorno contribuiscono alla rievocazione dei personaggi suddetti e dell'atmosfera storica. Lo stimolo iniziale e l'intento prioritario dell'esplorazione erano far luce sulla vita di Don Alessandro, giovane Principe sventurato, in riferimento al suo efferato assassinio avvenuto nel 1589, a Piombino, ad opera di congiurati di una individuata cerchia oligarchica cittadina.
La storiografia corrente, ormai consolidata e sclerotizzata, accusa il Principe di tirannide e libertinaggio, basandosi su scarna o nessuna documentazione, inesistenti approfondimenti storici ed un ricco coacervo di fantasticherie, aneddoti e stravaganze, frutto di fervida immaginazione; purtuttavia, come lo si vedrà nel seguito della lettura, l'esame del fondo archivistico oggetto d'indagine squarcia un velo sull'intimità del giovane Signore, da cui egli ne esce personaggio più che rispettabile, diversamente da come tanta letteratura ne abbia arbitrariamente coltivato l'immagine di indiscussa abiezione; poco o niente, di fatto, emerge, invece, sugli intrighi dei cospiratori e sui moventi dell'uccisione, in merito ai quali, lo dicevamo, diversi scrittori si sono tanto sbizzarriti a lavorare di fantasia. Da siffatta consapevolezza, l'uccisione del giovane Signore risulta pertanto delitto ancor più vitu-perevole.
Infatti, Don Alessandro, stando alla corrispondenza che lo riguardava pubblicata nelle pagine successive, appare un soggetto razionale e sensibile, sufficientemente colto, amante della musica e della poesia, appassionato di animali, dotato di senso di umanità e responsabilità, tutt'altro che dispotico, e per questo apprezzato, sem-bra, dalle autorità comunitative piombinesi. Tenuto conto di tutto ciò, sono da rigettare i presunti episodi di vita propalati sui suoi com-portamenti licenziosi, che lo avrebbero portato a inseguire osses-sivamente fra le strade di città certe sue infatuazioni. Se, inoltre, prestassimo fede al suo presunto dispotismo ferreo, perché non attri-buirgli la tracotanza di perseguire i soprusi semplicemente brigando nel segreto della propria Cittadella? Diverse opere letterarie, così come il "Duca di Mantova" del melodramma verdiano, ci danno una esemplificazione dello strapotere accampato dai dominatori, suoi pari, nel Cinquecento. Nelle strade cittadine, invece, egli passeggiava tran-quillamente per suo diporto e vi fu barbaramente trucidato, cadendo vittima di losche trame.
Alla luce delle risultanze archivistiche, bisognerà riscrivere alcune pagine di storia piombinese che non rispondono alla realtà dei fatti, poiché certe ricostruzioni e conclusioni storiche acquisite non convincono affatto. Si dovrà pure tenere conto che Alessandro ha vissuto alternativamente a Piombino, non abitando continuativamente, quindi, la sua Cittadella, perché, esattamente come aveva fatto il padre, usava spostarsi di frequente in diversi luoghi del suo dominio o della Toscana, secondo le ragion di Stato o di forza maggiore che lo richiamavano. È innegabile, ad ogni modo, che i presunti amori adul-terini di Alessandro, come del resto il flirt della moglie Isabella con il governatore del presidio spagnolo, si prestano a riconoscersi come ingredienti fantastici di una classica novella rinascimentale a tinte fosche... CONTINUA

 
 

 PIOMBINO SIDERURGIA E URBANISTICA NEL PERIODO FILOSOVIETICO (1946-1989)
Nedo Tavera
pp. 88 ill. f.to 17x 24 anno 2023 € 11,00
EAN 9788866152613
Collana Biblioteca di Storia n. 42

 

 PIOMBINO SIDERURGIA E URBANISTICA NEL PERIODO FILOSOVIETICO (1946- 1989)

Nel 1900 Piombino aveva settemilaseicentonovantasei abitanti e duecentocinquanta operai; nel 1913 ventunomilatrentacinque abitanti e duemilaquattrocento operai; nel 1962 si giungeva a circa trentaseimila abitanti di cui cinquemila impegnati nel lavoro dell'Italsider, ormai unico grande protagonista della zona. A questa avanzata in ogni dimensione non corrispondeva un adeguato sviluppo topografico della cittadina anzi vi difettava tutta quella serie di infrastrutture e di attività secondarie e collaterali che avrebbero potuto trasformare Piombino in una città organicamente perfetta e, ci sia concesso dirlo, al limite ideale di una funzionale modernità. [...].
Se le attività secondarie e terziarie non avranno uno sviluppo, Piombino nel 1966 sarà sì la sede del più grande stabilimento dell'Italsider e uno dei più grandi d'Europa, porterà la produzione di acciaio a due milioni di tonnellate, aumenterà sensibilmente il numero dei dipendenti dell'organico attuale, realizzerà nuovi impianti come un laminatoio blooming, un treno per billette, un treno per nastri stretti e uno per profilati piccoli, continuerà a spedire rotaie in ogni parte del mondo, ma potrebbe restare schiacciata dal suo medesimo sviluppo e trasformarsi in una città dormitorio.
Domenico Rea (1963)

 

Indice

La tradizione siderurgica.......................................................................... 7
La Piombino rossa.................................................................................... 17
Il colosso “Italsider” e lo stravolgimento stradale urbano........................ 31
Attuazione della ristrutturazione viaria extraurbana.................................55
Il pendolarismo abnorme sullo stabilimento.............................................61
L'urbanistica degli anni '70-'80.................................................................67

 

 

 

 

 

 

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EAN 9788866152507
DA S. CERBONE A ELISA BONAPARTE. LE PIU' AVVINCENTI PAGINE DELLA STORIA DI PIOMBINO

Nedo Tavera Ill. B/n f.to 17x24
pp. 174 anno 2023 € 15,00

Collana Biblioteca di Storia n. 40

Nedo Tavera è nato a Piombino nel 1939 ed ha conseguito il diploma di geometra a Pisa, titolo col quale ha iniziato il percorso professionale in seno alla Società Italsider-Ilva nel 1962, interrompendo gli studi universitari. Da molti anni vive a Firenze. Ha pubblicato numerose opere:
“L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa” 1978, Giuntina; “Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di Piombino” 1982, Giuntina; “L'antica Accademia dei Ravvivati, i teatri e il carnevale di Piombino” 2005, Ed. Saffe; “La Santa Vergine nella devozione piombinese attraverso i secoli” 1991, Giorgi & Gambi; “Piombino francescana” 1994 Giorgi & Gambi; “Piombino napoleonica, 1805-1814 : il principato dei Baciocchi” (coautore Brunello Creatini), Giorgi & Gambi 1996; “Gli agostiniani piombinesi: un documento inedito del Seicento sui frati agostiniani e l'odierna Abbazia concattedrale di Piombino” 1997, Giorgi & Gambi; “San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi” 1999, Giorgi & Gambi; “Il SS. Crocifisso miracoloso e la Misericordia di Piombino” 2005, Con-fraternita della Misericordia Piombino; “Da Populonia a Piombino: breve storia della chiesa piombinese” 2008, Saffe.

 

 

 

 

 

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Da S. CERBONE a ELISA BONAPARTE Le piu' avvincenti pagine della grande storia di Piombino
«La storia è una scienza sociale, e la sua evoluzione, come in ogni altra scienza, avviene soltanto attraverso la ricerca. Come l'astronomo è lo scienziato che non contempla solo il firmamento, ma esplora oltre il conosciuto e scioglie i misteri dell'universo, così il ricercatore indaga le fonti inedite e va oltre il sapere scientifico noto degli avvenimenti trascorsi, allargando l'orizzonte storiografico di uno specifico ambito.»
E Nedo Tavera seguendo questo filo logico si avventura di nuovo nel passato di quello che fu fino all'Ottocento uno stato indipendente e assurto a Principato con decreto imperiale.
Piombino ha tante storie ancora da raccontare e da scoprire per recuperare il passato di questo che fu uno degli Stati più desiderati dalle grande potenze, Spagna, Francia, per dominare le rotte commerciali e divenire base per le loro conquiste territoriali. Piombino ha visto passare sul suo territorio grandi personaggi e artisti, come Rosso Fiorentino, Machiavelli, Leonardo da Vinci che hanno lasciato il loro segno e opere di cui purtroppo molte sono state trafugate o vendute, così come gli archivi della città di cui oggi ne conserviamo solo una parte, e che sono sparsi in vari luoghi del mondo.
San Cerbone fu uno dei primi Vescovi populoniesi, poi proclamato Patrono della Diocesi di Massa e Populonia, la quale si denomina, oggi, di Massa Marittima-Piombino. Per celebrare suggestivamente la solennità del Santo, il 10 di ottobre, gli "Amici di Populonia", con l'ausilio di altre associazioni culturali ed il patrocinio del Comune di Piombino, idearono, anni or sono, una "Luminaria" da effettuarsi nei luoghi cari all'antico e venerato Presule: splendida rievocazione, che ha continuato a svolgersi annualmente nella detta ricorrenza, all'imbrunire, nel golfo di Baratti, e che vuol far idealmente rivivere il primo ingresso di Cerbone a Populonia, nella terra di cui è stato Vescovo, come anche il suo ritorno dall'Elba dopo la morte. Si può parlare di un rito sacro, presente il benedicente Vescovo diocesano odierno, per cui le reliquie di Cerbone giungono via mare sulla terraferma scortate da una processione di barche silenziose e solennemente illuminate. San Cerbone: un Vescovo di Populonia storicamente documentato e contemplato nel Martirologio Romano, ed il quarto o quinto della serie, stando alla cronotassi accreditata dalla leggenda o dagli eruditi del passato, ma ai primissimi posti nella cronotassi storica ufficiale. In proposito, scriveva Gabriella Garzella (2005):
«Oscure rimangono comunque le origini della diocesi come pure segnata da lacune profonde ed incolmabili risulta la sua lista episcopale prima del Mille, faticosamente da me ricostruita in altra sede sulla base di una documentazione davvero avara di notizie autentiche e provvedendo, viceversa, a sfrondarla dei dati fantasiosi utilizzati per inserire nuovi nomi in un elenco punteggiato da troppi vuoti».
L'anno esatto in cui Cerbone salì sulla cattedra episcopale di Populonia è ignoto, sappiamo, invece, che egli dovette rifugiarsi all'Elba, dove peraltro morì, per sfuggire alla persecuzione scatenata dai Longobardi, circa l'anno 575. Proprio prima di morire, però, il Santo Vescovo si raccomandò ai confratelli che lo avevano seguito, anch'essi fuggitivi, di essere inumato nella tomba da lui stesso predisposta presso la Cattedrale populoniese di Santa Maria, oggi scomparsa e della quale tuttora non sono state ritrovate le fondamenta. segue nel libro...

 INDICE

San Cerbone vescovo di Populonia e patrono della diocesi di Massa Marittima-Piombino..................................................................................7
San Fiorenzo: figura controversa..............................................................13
La scomparsa Abbazia di San Giustiniano di Falesia...............................17
L'antico Capodanno piombinese...............................................................22
Jacopo I D'Appiano, il figlio Gherardo e lo stato di Piombino.................27
Jacopo II D'Appiano, l'attacco a Firenze e lo scandalo a Corte................32
Caterina D'Appiano, Rinaldo Orsini e l'assedio di Piombino del 1448....37
Jacopo III D'Aragona D'Appiano. Il Rinascimento artistico e l'assalto a Piombino del Duca di Milano...................................................................47
Jacopo IV D'Aragona D'Appiano e l'occupazione dei Borgia dello Stato di Piombino...............................................................................................59
Jacopo V D'Aragona D'Appiano, le incursioni ottomane e la ripresa della grande stagione artistica piombinese...............................................64
La sovranità Medicea su Piombino, Jacopo VI D'Aragona D'Appiano, il suo esilio a Genova e la ribellione dei Piombinesi...................................77
Alessandro I D'Aragona D'Appiano, lo stretto legame con Genova e l'esilio, la congiura fatale e le due principesse “Isabella”.........................87
Jacopo VII D'Aragona D'Appiano, l'esodo da Piombino, la dimora genovese e il Principato Imperiale............................................................99
Gli ultimi D'Aragona D'Appiano. La peste manzoniana, Niccolò Ludovisi e l'occupazione Francese di Piombino.......................................102
Giovan Battista Ludovisi principe rivitalizzatore dello Stato e la sorella principessa Ippolita...................................................................................110
Eleonora Boncompagni Ludovisi e le rimostranze degli anziani piombinesi.................................................................................................116
Gaetano Antonio e Luigi Boncompagni Ludovisi, San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi..................................................................121
I principi di Piombino e la Chiesa dai D'Appiano ai Baciocchi...............128
Elisa Bonaparte e la sua Corte nella Reggia di Piombino........................138
Il convento di San Giovanni di Dio: da Jacopo VI ad Elisa Bonaparte....150
L'antica chiesa scomparsa di Santa Maria................................................155
Il Duomo di Piombino al tempo di Elisa Bonaparte.................................158

Bibliografia...............................................................................................163

 

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LA SANTA VERGINE NELLA DEVOZIONE PIOMBINESE ATTRAVERSO I SECOLI. Piombino: disegno storico della città
Nedo Tavera
pp. 138 anno 2021 € 15,00 ill. colori e B/n
EAN 9788866152323
Collana Biblioteca di Storia n. 32

 Presentazione del libro su You Tube

Nedo Tavera è nato a Piombino nel 1939 ed ha conseguito il diploma di geometra a Pisa, titolo col quale ha iniziato il percorso professionale in seno alla Società Italsider-Ilva nel 1962, interrompendo gli studi universitari. Da molti anni vive a Firenze. Ha pubblicato numerose opere:
“L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa” 1978, Giuntina; “Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di Piombino” 1982, Giuntina; “L'antica Accademia dei Ravvivati, i teatri e il carnevale di Piombino” 2005, Ed. Saffe; “La Santa Vergine nella devozione piombinese attraverso i secoli” 1991, Giorgi & Gambi; “Piombino francescana” 1994 Giorgi & Gambi; “Piombino napoleonica, 1805-1814 : il principato dei Baciocchi” (coautore Brunello Creatini), Giorgi & Gambi 1996; “Gli agostiniani piombinesi: un documento inedito del Seicento sui frati agostiniani e l'odierna Abbazia concattedrale di Piombino” 1997, Giorgi & Gambi; “San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi” 1999, Giorgi & Gambi; “Il SS. Crocifisso miracoloso e la Misericordia di Piombino” 2005, Con-fraternita della Misericordia Piombino; “Da Populonia a Piombino: breve storia della chiesa piombinese” 2008, Saffe.

 

 

 

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LA SANTA VERGINE NELLA DEVOZIONE PIOMBINESE ATTRAVERSO I SECOLI. Piombino: disegno storico della citta'

 

 

NOTA DELL'AUTORE
a trent'anni esatti dalla pubblicazione de La Santa Vergine nella Devozione Piombinese Attraverso i Secoli mi piace riproporne la ristampa aggiungendovi il seguente sottotitolo: Piombino: Disegno Storico della Città. Perché tale aggiunta? Semplicemente per il fatto che alcuni di coloro che hanno letto il libro con interesse e discernimento mi hanno significato di aver trovato "riduttivo" il titolo originario. significato di aver trovato "riduttivo" il titolo originario.
A Un'osservazione che non mi è dispiaciuta, ma che, anzi, mi ha fatto piacere e che, francamente, posso condividere. Come non riconoscerne la validità dal momento che le vicende locali analizzate diacronicamente ed afferenti allo scenario religioso cittadino s'innestano con quelle di storia civile urbana, che talvolta le sovrasta? In altre parole, il lavoro sarebbe giudicato una monografia sul passato ecclesiastico di Piombino, e sull'accentuata devozione popolare alla Santa Vergine, tutta intrecciata, però, con spaccati di vissuto ordinario in una sorta di disegno storico sui generis della città. Un secondo motivo che mi ha indotto alla ristampa, devo dire brevemente, è che la sostanza del libro è frutto di ricerche archivistiche, le quali non perdono mai d'importanza, e qui, in alcune parti, restano degli interrogativi da sciogliere e da definire. Parlo, in particolare, della mitica antichissima Abbazia di San Giustiniano di Falesia, scomparsa, la cui ubicazione ignota io ritengo di avere individuato e che discorda dalla proposta alternativa della Prof. Maria Luisa Ceccarelli Lemut; rimane, altresì, ancora in sospeso l'ultima parola sull'Autore della Madonna del Latte della Sala Consiliare del Palazzo Civico; Autore che io riconosco nel pittore piombinese Giovanni Maria Tacci, vissuto nel Cinquecento, riscontrando, tuttavia, diverso parere della Dott. Antonia D'Aniello.
È appena il caso di rimarcare che, se il Tacci non ha creato ex novo l'immagine della Vergine di Falesia, perché già esistente, ma molto rovinata dal tempo, egli fu comunque chiamato a restaurarla dai Padri Anziani, come provato dalle fonti, nel 1575, e adottò inevitabilmente gli antichi e superati criteri di integrazione rimasti in auge fino ai primi decenni del Novecento, nel
recupero e nella conservazione delle opere d'arte. Pertanto, Giovanni Maria Tacci ha completato la ridipintura dell'immagine sacra della Sala Consiliare riproducendo le linee iconografiche del modello e assumendone la paternità, perplessità è destata nel constatare la mancanza degli ornamenti della Madonna e del Bambino, come il diadema, che sono enunciati nell'incarico dato al pittore. Allo stato dei fatti, non si vede come questa Madonna del Latte possa essere attribuita all'artista originario che la realizzò nel Quattrocento; oltretutto alla ridipintura del Tacci se ne sono sommate successivamente altre. Quantomeno, un'analisi storica, non soltanto estetica, del dipinto non può prescindere dall'ipotesi che la mano del pittore ultimo della Vergine sia quella di Jacopo Mellini, anch'egli piombinese. Infatti, a lui espressamente gli Anziani chiesero, nel 1780, di dipingere l'Immagine di Maria SS.ma di Faliegi nel Palazzo Pubblico, ovviamente raffigurandola con la necessaria arcaicità; e negli ambienti comunali non è emerso altro antico affresco di genere sacro che quello della Madonna del Latte in Sala Consiliare.
Con analogia tematica, qualche parola bisognerà spenderla sulla superficialità critica con cui sono stati valutati fino ad oggi i capolavori rinascimentali piombinesi, per cui occupandosi storiograficamente di essi si è incorsi, me compreso, nella divulgazione di assunti assolutamente opinabili e privi di fondamento documentario quanto all'attribuzione complessiva di quei capolavori al genio unico di Andrea Guardi. Tutto ciò è conseguenza del giudizio critico soggettivo basato su semplici comparazioni e affinità stilistiche fra opere d'arte coeve. Ma non sappiamo se Andrea Guardi sia stato mai a Piombino, perché nessun documento lo ha provato, mentre scavando negli archivi si stanno affacciando altre personalità artistiche che hanno realmente operato nel Quattrocento in città. Pertanto, non è dichiarabile la certezza d'autore relativamente alla Chiesa e al Puteale di Cittadella, nonché al Chiostro di Sant'Antimo e ad altre sculture dell'epoca.
Un altro interrogativo insoluto, molto avvincente. riguarda il sito e le tracce introvabili di Santa Maria di Populonia, ossia l'Ecclesia Mater, Battesimale e Cattedrale connessa alla vitalità diocesana medievale, alla storia di San Cerbone, Patrono della Diocesi, e degli altri Vescovi populoniesi. A suggestive e illusorie conclusioni conduceva la prospettiva adombrata nel Settecento da Agostino Cesaretti, il quale lasciava intravedere nell'Abbazia di Santa Maria e San Quirico la Chiesa Matrice: non certamente l'originaria tardoantica, ma una ipotetica e isolata dei secoli del lungo declino di Populonia, segnati dalla disastrosa incursione saracena dell'809, dall'insicurezza per l'Episcopio e dai Vescovi erranti in cerca di asilo sicuro. Come poi avvenne, si ebbe la traslazione della sede episcopale nell'entroterra, in Val di Cornia e infine a Massa Marittima. Ma non sembra del tutto casuale rinvenire alcuni coincidenti legami, intorno al Mille, fra la sede episcopale e l'Abbazia di San Quirico populoniesi, non soltanto nella pur significativa cotitolazione a Santa Maria, corrispondente a quella della Ecclesia Mater, ma anche in risvolti di natura patrimoniale. Stando alla scarsa documentazione archivistica disponibile, l'istituzione della comunità eremitico-monastica di San Quirico viene collocata ai primi decenni del secolo XI; le recenti ricerche hanno riportato alla luce i resti materiali del complesso sacro, del quale, tuttavia, non ne è stata definita la configurazione altomedievale, che viene presunta riferibile, cautelativamente, a non oltre il secolo X. Per quanto riguarda, invece, la Cattedrale di Santa Maria resta ancora un mistero la sua ubicazione, poiché le diverse campagne di scavo e di indagini archeologiche, condotte fra Baratti e Populonia da varie Università degli Studi, non hanno dato l'esito sperato.
In definitiva, ciò che può giustificare la ristampa di un libro di storia locale, dal taglio insolitamente religioso, sono proprio le risultanze archivistiche che danno risalto alle mutazioni apportate nella società locale nei secoli passati e specialmente durante il regno di Elisa Bonaparte, che enorme importanza ha avuto nell'Ottocento piombinese, costituendo le premesse della società attuale.

 

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L'ASCESA DI PIOMBINO AL DECLINO DELLA REPUBBLICA DI PISA
Nedo Tavera
pp. 90 anno 2021 € 15,00 ill. colori e B/n
EAN 9788866152408
Collana Biblioteca di Storia n. 34

Nedo Tavera è nato a Piombino nel 1939 ed ha conseguito il diploma di geometra a Pisa, titolo col quale ha iniziato il percorso professionale in seno alla Società Italsider-Ilva nel 1962, interrompendo gli studi universitari. Da molti anni vive a Firenze. Ha pubblicato numerose opere:
“L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa” 1978, Giuntina; “Elisa Bonaparte Baciocchi principessa di Piombino” 1982, Giuntina; “L'antica Accademia dei Ravvivati, i teatri e il carnevale di Piombino” 2005, Ed. Saffe; “La Santa Vergine nella devozione piombinese attraverso i secoli” 1991, Giorgi & Gambi; “Piombino francescana” 1994 Giorgi & Gambi; “Piombino napoleonica, 1805-1814 : il principato dei Baciocchi” (coautore Brunello Creatini), Giorgi & Gambi 1996; “Gli agostiniani piombinesi: un documento inedito del Seicento sui frati agostiniani e l'odierna Abbazia concattedrale di Piombino” 1997, Giorgi & Gambi; “San Paolo della Croce e le Clarisse piombinesi” 1999, Giorgi & Gambi; “Il SS. Crocifisso miracoloso e la Misericordia di Piombino” 2005, Con-fraternita della Misericordia Piombino; “Da Populonia a Piombino: breve storia della chiesa piombinese” 2008, Saffe.

 

 

 

L'ASCESA DI PIOMBINO AL DECLINO DELLA REPUBBLICA DI PISA
NOTA DELL'AUTORE
a trent'anni esatti dalla pubblicazione de La Santa Vergine nella Devozione Piombinese Attraverso i Secoli mi piace riproporne la ristampa aggiungendovi il seguente sottotitolo: Piombino: Disegno Storico della Città. Perché tale aggiunta? Semplicemente per il fatto che alcuni di coloro che hanno letto il libro con interesse e discernimento mi hanno significato di aver trovato "riduttivo" il titolo originario. significato di aver trovato "riduttivo" il titolo originario.
A Un'osservazione che non mi è dispiaciuta, ma che, anzi, mi ha fatto piacere e che, francamente, posso condividere. Come non riconoscerne la validità dal momento che le vicende locali analizzate diacronicamente ed afferenti allo scenario religioso cittadino s'innestano con quelle di storia civile urbana, che talvolta le sovrasta? In altre parole, il lavoro sarebbe giudicato una monografia sul passato ecclesiastico di Piombino, e sull'accentuata devozione popolare alla Santa Vergine, tutta intrecciata, però, con spaccati di vissuto ordinario in una sorta di disegno storico sui generis della città. Un secondo motivo che mi ha indotto alla ristampa, devo dire brevemente, è che la sostanza del libro è frutto di ricerche archivistiche, le quali non perdono mai d'importanza, e qui, in alcune parti, restano degli interrogativi da sciogliere e da definire. Parlo, in particolare, della mitica antichissima Abbazia di San Giustiniano di Falesia, scomparsa, la cui ubicazione ignota io ritengo di avere individuato e che discorda dalla proposta alternativa della Prof. Maria Luisa Ceccarelli Lemut; rimane, altresì, ancora in sospeso l'ultima parola sull'Autore della Madonna del Latte della Sala Consiliare del Palazzo Civico; Autore che io riconosco nel pittore piombinese Giovanni Maria Tacci, vissuto nel Cinquecento, riscontrando, tuttavia, diverso parere della Dott. Antonia D'Aniello.
È appena il caso di rimarcare che, se il Tacci non ha creato ex novo l'immagine della Vergine di Falesia, perché già esistente, ma molto rovinata dal tempo, egli fu comunque chiamato a restaurarla dai Padri Anziani, come provato dalle fonti, nel 1575, e adottò inevitabilmente gli antichi e superati criteri di integrazione rimasti in auge fino ai primi decenni del Novecento, nel recupero e nella conservazione delle opere d'arte. Pertanto, Giovanni Maria Tacci ha completato la ridipintura dell'immagine sacra della Sala Consiliare riproducendo le linee iconografiche del modello e assumendone la paternità, perplessità è destata nel constatare la mancanza degli ornamenti della Madonna e del Bambino, come il diadema, che sono enunciati nell'incarico dato al pittore. Allo stato dei fatti, non si vede come questa Madonna del Latte possa essere attribuita all'artista originario che la realizzò nel Quattrocento; oltretutto alla ridipintura del Tacci se ne sono sommate successivamente altre. Quantomeno, un'analisi storica, non soltanto estetica, del dipinto non può prescindere dall'ipotesi che la mano del pittore ultimo della Vergine sia quella di Jacopo Mellini, anch'egli piombinese. Infatti, a lui espressamente gli Anziani chiesero, nel 1780, di dipingere l'Immagine di Maria SS.ma di Faliegi nel Palazzo Pubblico, ovviamente raffigurandola con la necessaria arcaicità; e negli ambienti comunali non è emerso altro antico affresco di genere sacro che quello della Madonna del Latte in Sala Consiliare.
Con analogia tematica, qualche parola bisognerà spenderla sulla superficialità critica con cui sono stati valutati fino ad oggi i capolavori rinascimentali piombinesi, per cui occupandosi storiograficamente di essi si è incorsi, me compreso, nella divulgazione di assunti assolutamente opinabili e privi di fondamento documentario quanto all'attribuzione complessiva di quei capolavori al genio unico di Andrea Guardi. Tutto ciò è conseguenza del giudizio critico soggettivo basato su semplici comparazioni e affinità stilistiche fra opere d'arte coeve. Ma non sappiamo se Andrea Guardi sia stato mai a Piombino, perché nessun documento lo ha provato, mentre scavando negli archivi si stanno affacciando altre personalità artistiche che hanno realmente operato nel Quattrocento in città. Pertanto, non è dichiarabile la certezza d'autore relativamente alla Chiesa e al Puteale di Cittadella, nonché al Chiostro di Sant'Antimo e ad altre sculture dell'epoca.
Un altro interrogativo insoluto, molto avvincente. riguarda il sito e le tracce introvabili di Santa Maria di Populonia, ossia l'Ecclesia Mater, Battesimale e Cattedrale connessa alla vitalità diocesana medievale, alla storia di San Cerbone, Patrono della Diocesi, e degli altri Vescovi populoniesi. A suggestive e illusorie conclusioni conduceva la prospettiva adombrata nel Settecento da Agostino Cesaretti, il quale lasciava intravedere nell'Abbazia di Santa Maria e San Quirico la Chiesa Matrice: non certamente l'originaria tardoantica, ma una ipotetica e isolata dei secoli del lungo declino di Populonia, segnati dalla disastrosa incursione saracena dell'809, dall'insicurezza per l'Episcopio e dai Vescovi erranti in cerca di asilo sicuro. Come poi avvenne, si ebbe la traslazione della sede episcopale nell'entroterra, in Val di Cornia e infine a Massa Marittima. Ma non sembra del tutto casuale rinvenire alcuni coincidenti legami, intorno al Mille, fra la sede episcopale e l'Abbazia di San Quirico populoniesi, non soltanto nella pur significativa cotitolazione a Santa Maria, corrispondente a quella della Ecclesia Mater, ma anche in risvolti di natura patrimoniale. Stando alla scarsa documentazione archivistica disponibile, l'istituzione della comunità eremitico-monastica di San Quirico viene collocata ai primi decenni del secolo XI; le recenti ricerche hanno riportato alla luce i resti materiali del complesso sacro, del quale, tuttavia, non ne è stata definita la configurazione altomedievale, che viene presunta riferibile, cautelativamente, a non oltre il secolo X. Per quanto riguarda, invece, la Cattedrale di Santa Maria resta ancora un mistero la sua ubicazione, poiché le diverse campagne di scavo e di indagini archeologiche, condotte fra Baratti e Populonia da varie Università degli Studi, non hanno dato l'esito sperato.
In definitiva, ciò che può giustificare la ristampa di un libro di storia locale, dal taglio insolitamente religioso, sono proprio le risultanze archivistiche che danno risalto alle mutazioni apportate nella società locale nei secoli passati e specialmente durante il regno di Elisa Bonaparte, che enorme importanza ha avuto nell'Ottocento piombinese, costituendo le premesse della società attuale.

 

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ELISA BONAPARTE BACIOCCHI PRINCIPESSA DI PIOMBINO

Nedo Tavera-

pp. 180 anno 2020 15,00 ill, B/N

EAN 9788866152132

Collana Biblioteca di Storia n. 31

 

 

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ELISA BONAPARTE BACIOCCHI PRINCIPESSA DI PIOMBINO

 

PREMESSA

 

 

Dopo la pubblicazione de «L'ascesa di Piombino al declino della Repubblica di Pisa», faccio volentieri un salto di qualche secolo nella storia piombinese e passo dall'epoca d'oro, il Quattrocento, a quella napoleonica: con un po' di retorica, dall'alba radiosa della Città-Stato ai bagliori del suo tramonto. Ciò, non perché l'arco di questa storia statuale non sia, tutto un campo di ricerca semi esplorato su cui varrebbe la pena indagare a fondo, punto per punto e progressivamente, ma per il fatto che vi è oggettivamente da considerare l'epilogo bonapartista come una seconda ascesa
politico-economica e socio-culturale della metropoli di un tempo. Intendo riferirmi, cioè, soprattutto ai portati pratici di quell'impulso innovatore, imposto dall'esterno e provocato da Napoleone, che grande effetto ebbero per la rinascita di Piombino. Quanto ai riflessi psicologici della dominazione francese, la città non dovrebbe invece costituire un singolare caso a sé, ed ha forse ogni aspetto in comune, per grandi linee, con la Toscana ed il resto dell'Italia napoleonica.
Credo, inoltre, che una maggiore consapevolezza dei fatti accaduti nel primo Ottocento sia indispensabile, nel Piombinese e altrove, per chiunque voglia spiegarsi parecchi fenomeni della storia post-napoleonica e risalire a certe matrici
della cultura contemporanea. Ritengo e spero, infine, che un contributo alla conoscenza di un momento così significativo della storia di Piombino risulterà, non solo utile, ma particolarmente celebrativo per la città [...]

Avanzando nelle ricerche intorno a S.A.I . e R. Elisa, principessa di Piombino, di Lucca e granduchessa di Toscana, si
arriva facilmente a concludere che gli abitanti della regione in generale, che fondano parte della loro formazione civile nell'azione di lei e che sono perfino disposti a rivalutare assai gli antichi principi della dinastia austriaca, hanno ripagato con eccessiva indifferenza questa << straniera >>, una còrsa, tutto sommato, dal cognome toscano.

Ma in realtà non esiste una vera e propria coscienza in merito a che cosa significò l'era dei Baciocchi; e bisogna ammettere che essi non sono abbastanza conosciuti, perché poco, e non di rado a sproposito, se ne è parlato. Allo stato attuale dei lavori storico-letterari che li riguardano, soltanto un gruppo esiguo di opere ha requisiti scientifici e risponde effettivamente allo scopo cui la storiografia deve tendere. Di conseguenza, occorreranno anni di dedizione affinché sia colmata la lacuna, vista la varietà delle questioni da affrontare e la molteplicità degli studi da compiere: politici, economici, sociali, ecclesiastici, giuridici, artistici, ecc.

 

 

 

 

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EAN 9788866151999

PIOMBINO NAPOLEONICA (1805-1814) IL PRINCIPATO DEI BACIOCCHI
Nedo Tavera- Brunello Creatini
pp. 168 anno 2019 € 18,00 ill, B/N

Collana Biblioteca di Storia n. 30

 

 

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PIOMBINO NAPOLEONICA (1805-1814) IL PRINCIPATO DEI BACIOCCHI

Il 18 marzo 1805, Napoleone Bonaparte donava l'antico Stato di Piombino, in piena sovranità, alla sorella Elisa (Fig.1), attribuendo al di lei marito, Felice Baciocchi, il titolo di Principe dell'Impero. Elisa per prima, tra i fratelli di Napoleone, ricevette un feudo, sicché appunto da Piombino si aprì la strada alle investiture imperiali di tutti gli altri Napoleonidi. Il Principato piombinese mantenne, come succedeva da secoli, la propria completa autonomia sotto il profilo giuridico, benché, adesso, fosse palesemente inquadrato in un rapporto di vassallaggio con la Francia. Alcune branche dell'amministrazione centrale di esso, come le cancellerie e le segreterie dei regnanti, certi affari militari e di polizia, finirono ovviamente per essere cumulate con quelle inerenti al Principato di Lucca, prima, e al Granducato di Toscana, poi, di cui i Baciocchi, a vario titolo, conseguirono la sovranità: entrambi i coniugi Principi di Lucca dal 24 giugno 1805; Elisa Granduchessa di Toscana dal 3 marzo 1809.
A differenza del Principato napoleonico lucchese, che in apparenza sembrava poggiare su basi sostanzialmente democratiche e che, richiamandosi alle tradizionali istituzioni repubblicane locali, vantava una Costituzione, un Consiglio di Stato ed un Senato, sebbene, questo, senza alcuna funzione effettiva, il Principato napoleonico piombinese si reggeva su un ordinamento tipico dell'assolutismo monarchico. Poiché il regime dei Baciocchi fu strettamente personale, Felice I deteneva in sé il potere legislativo e, pertanto, emanava leggi e decreti di “motuproprio”, demandandone l'attuazione a ministri e funzionari, per lo più francesi e provenienti dall'esercito. A fianco del Principe, non residente abitualmente a Piombino, vi era il Segretario di Gabinetto, suo primo collaboratore, praticamente un segretario personale che provvedeva a trasmettere ordini e atti ufficiali ad enti periferici ed agli organi esecutivi. In Piombino, al vertice di questi ultimi vi furono un Ministro di Stato, il Governatore Generale e il Prefetto. Tuttavia, l'organizzazione amministrativa piombinese non fu rigidamente costante nel tempo, né gli stessi uomini, in linea di massima, durarono a lungo nelle principali mansioni. Nel Principato napoleonico lucchese l'apparato amministrativo era strutturato diversamente. A capo degli affari pubblici erano infatti preposti il Segretario di Stato e i due Ministri di Stato: uno, il principale, per la Giustizia, incaricato anche dell'Interno, Esteri, Istruzione, Commercio e Agricoltura; l'altro per le Finanze, Culto, Polizia, Forza Armata, Acque e Strade e Fabbriche Pubbliche. Questo secondo dicastero, detto genericamente delle Finanze, fu soppiantato, nel 1809, da quello del Tesoro, retto da Luigi Vannucci, già Segretario di Stato.
Compito preminente di Felice Baciocchi era indubbiamente il comando delle forze armate degli Stati affidatigli, tanto più che nell'esercizio del potere su Piombino conferitogli dall'Imperatore era notoriamente coadiuvato da Elisa Bonaparte. I due Principi, naturalmente, dovevano soggiacere ad una inevitabile dipendenza dalla Francia; dipendenza che pure era in realtà inferiore, soprattutto per quanto riguardava Piombino e Lucca, a quella voluta da certe correnti storiografiche ottocentesche d'Oltralpe, spesso avverse ai Napoleonidi e non propriamente scientifiche:
«Élisa, grande-duchesse de Toscane, habitait Florence dans le palais Pitti, au milieu des chefs-d'oeuvre des arts; ce titre de grande-duchesse de Toscane ne donnait pas à la princesse Élisa un pouvoir réel; elle avait à peine l'autorité d'un gouverneur; la Toscane était soumise au système des préfectures, à l'organisation directe et immédiate, sous la main du ministre de l'intérieur; les revenus étaient versés dans le trésor, les conscríts levés dans le même ordre, les impôts également perçus. Élisa mettait ses effigies sur les monnaies, mais sa souveraineté n'était qu'une vaine image; Napoléon la faisait surveiller parce qu'elle avait des liaisons intimes avec Fouché et la partie opposante au système impéríal; elle rêvait l'indépendance» .
L'inaffidabilità di molti scritti sui Bonaparte, non solo di vecchi autori, come ben sappiamo, è rimarchevole specie nel versante dell'aneddotica e del.... continua nel libro


...D'altronde, nel 1805 Elisa aveva appena ventotto anni e, per quanto abile e intelligente, avrà pur dovuto affidarsi in qualche modo al più maturo ed esperto marito, quarantatreenne, cui Napoleone stesso accordò fiducia e addossò responsabilità non da poco: la titolarità di non trascurabili regni e, anzitutto, la salvaguardia di importanti e strategici territori continentali e insulari franco-italiani. In definitiva, come ben si comprende, «les obligations des souverains de Piombino envers l'Empereur étaient, essentiellement, d'ordre militaire: maintenir en bon état la forteresse de Piombino, favoriser les communications avec l'ile d'Elbe, assurer la défense des côtes avec le nombre de batteries d'artillerie nécessaires, entretenir en permanence un bataíllon de 400 hommes» 3.
Ecco ciò che interessava davvero alla Francia, quale potenza egemone; ed ecco ciò che pretendeva Napoleone dai Baciocchi in queste zone militarmente occupate: sostegno all'esercito francese e adeguata legiferazione locale: ciò che appunto garantiva Felice I. Il governo degli Stati sottomessi comprendeva anche altro; ma tutto il resto, nella politica imperiale napoleonica, veniva dopo. In questa ottica, se è vero che Elisa non visse all'ombra del Principe suo marito, è altrettanto vero che questi non regnò affatto in sottordine a lei, benché essa avesse il privilegio di essere la grande sorella dell'Imperatore

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EAN 9788866151890

 

 PER LA PROVINCIA STORICO- INDUSTRIALE DI PIOMBINO ED ALTRE STORIE
Nedo Tavera 17x24 Ill.
Pagg. 88 anno 2019 € 12,00
Collana Maremmana n. 11

PER LA PROVINCIA STORICO- INDUSTRIALE DI PIOMBINO ED ALTRE STORIE

PER IL RISVEGLIO DELLA
"LEGGENDA" DI PIOMBINO

Cos'è la "leggenda" piombinese, se non l'ineguagliabile, straordinaria storia del Promontorio di Piombino, su cui non molte altre città possono ambire a confrontarsi e ad avere il primato? Senza retorica, proviamo a fare una brevissima sintesi di questa ricchezza inestimabile, mai messa a frutto da coloro che ne avrebbero avuto tutto il vantaggio.
Un destino avverso, inesorabile, come non si è registrato in nessun'altra illustre città antica, ha piegato Piombino da circa un paio di secoli in avanti. Un destino nefasto, non causato da calamità naturali ineluttabili, ma da uomini che ne hanno causato il decadimento: vuoi determinati nei loro ostili disegni, vuoi senza idee e, quindi, semplicemente confusi e incapaci, ma anche uomini sospinti da una sola ideologia.
Dal Congresso di Vienna, dal 1815 ad oggi, Piombino, ex Città-Stato dell'Italia preunitaria, ha attraversato le seguenti fasi storiche in una condizione umiliante rispetto al passato: Toscana granducale, il Regno d'Italia, la rivoluzione industriale, il fascismo, la seconda guerra mondiale, le amministrazioni del dopoguerra.
Il Principe Luigi Boncompagni Ludovisi, legittimo sovrano del Principato di Piombino, reclamò inutilmente contro lo strapotere degli Asburgo Lorena e contro quanto si decideva nel Congresso di Vienna, che ratificò la soppressione dello stesso Principato e la sua annessione alla Toscana. Le conseguenze furono frustranti per l'indifesa città di Piombino, che subì le ritorsioni del Granduca Ferdinando III, mentre lo spodestato Boncompagni Ludovisi, che tuttora si fregia del titolo di Principe di Piombino, fu pienamente indennizzato delle rendite che perdeva. La grave sanzione inflitta alla città fu l'emarginazione e la perdita di qualsiasi potere in campo amministrativo; un arbitrario e punitivo declassamento dalla sua precedente condizione di città capoluogo.
Nei due secoli trascorsi, Piombino non ha mai reagito al sopruso, alla penalizzazione; non si è mai difesa, non ne ha trovato la forza necessaria. Consapevolezza, orgoglio e amore per il proprio passato sono stati assenti in Piombino per ben due secoli; ciò che vi ha dominato è stata la non piena cognizione e l'indifferenza dei propri fasti, della propria storia, i quali, se non sono un'epopea, formano sicuramente una "leggenda", anche in senso letterale: "cose da leggere". Che nessuno, invece, ha mai letto fino a ieri; ragion per cui si è avverato per Piombino il "presagio" che dice: non si può costruire il futuro senza conoscere il passato. E la ultramillenaria essenza storica del Promontorio di Piombino, il suo indiscutibile mito nei due secoli trascorsi, infatti, non sono stati tramandati e difesi dallo spirito piombinese, che è stato sopraffatto dalla imperdonabile dimenticanza, dalla selvaggia industrializzazione, dalla prepotente e preponderante ideologia politica. CONTINUA NEL LIBRO


VIA FELICE CAVALLOTTI

 

Dirò subito che io sono nato a Piombino, in Via Cavallotti, cresciuto da genitori esemplari e dove ho avuto vicini di casa fantastici fino all'adolescenza. Via Cavallotti era una strada qualunque, senza particolari attrattive, se non il pregio di essere guarnita da bei filari di platani che la impreziosivano. Durante la mia prima infanzia, viveva nell'appartamento accanto al mio una splendida famiglia con la quale i miei genitori stabilirono presto ottimi rapporti. In particolare, la loro figlia, Nelly, bella signorina, divenne amica intima di mia zia Elsa, sua coetanea e sorella minore di mia madre, ritiratasi a vivere con noi insieme ai nonni materni. La Nelly aveva un fratello minore, Edo, il quale era, anche lui, un simpatico giovanottello. Questi tre bravi giovani, zia Elsa, Edo e la Nelly, si prodigarono un mondo a regalarmi affetto e carezze fino a quando le vicende della guerra non ci allontanarono tutti dalle nostre abitazioni. Fra i vaghi ricordi del tempo che riaffiorano nella memoria, porto scolpito nella mente un freddo e buio pomeriggio d'inverno trascorso nella cucina di casa mia, con il grande focarile acceso e scoppiettante e le fiamme che riverberavano bagliori rossastri attraverso i cerchi roventi della piastra. Eravamo fra il Capodanno e la Befana, e i tre amici di cui sopra si stavano interessando a me, parlandomi e interrogandomi, catturando, divertendosi, la mia attenzione, quando fui attirato d'improvviso da una strana sorta di grandine che cominciò a venir giù dalla cappa del camino. Che la Befana fosse in anticipo, visto che tanto me ne parlavano? Io, senza neanche accorgermi che stavano cadendo qua e là caramelle, cercai subito scampo correndo a rintanarmi fra due sedie e la parete. Il buon Edo, con la complicità di zia Elsa e la Nelly, mi stava preparando allegramente all'arrivo della Vecchietta che vola su una scopa.
Dopo la parentesi della guerra e dello sfollamento, i signori dell'appartamento accanto rientrarono in questa loro casa, e non saprei dire esattamente quando fu che, dal mio terrazzo, vidi affacciata, ad una loro finestra sulla strada, la signora Emma che stava gridando, fuori di sé, a qualcuno sul marciapiede di fronte:
«Vieni ora a prendere il mio marito!.. Vieni ora a prenderlo!..» CONTINUA NEL LIBRO

 

 

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EAN 9788866151746

 MESEMBRIANTEMI
I fiori di mezzogiorno
Sette Racconti
Nedo Tavera 17x24 Ill.
Pagg. 108 anno 2018 € 12,00
Collana Maremmana n. 10

 

 

MESEMBRIANTEMI I fiori di mezzogiorno. Sette Racconti.

Ai lettori che mi faranno l'onore di leggere queste pagine voglio dire che, dopo aver pubblicato diversi lavori di ricerca storica sulla mia città, questo ultimo volumetto che ho inteso presentare, dopo molte perplessità al riguardo, ad un'età più che matura, è un'occasionale incursione nel campo della narrativa e vuol essere una sorta di “canto del cigno”, in chiave personale, sia per dire addio a futuri propositi di impegno storico-letterario sia per suggellare il tenace attaccamento alla mia città stessa.
Per la verità, non volevo proprio far stampare questi scritti, buttati giù tanti anni fa e originati da esperienze e impressioni personali della giovinezza. È stato soltanto un mio scrupolo di coscienza, quasi un obbligo morale, che ho sentito nei confronti di parte di essi a farmi cambiare idea.
Alludo, soprattutto, al ritratto, ancorché incompleto, di una importante figura piombinese scomparsa come Don Vito Latini, a cui avevo promesso da ragazzo di dedicargli addirittura una biografia, alludo al breve, devoto ossequio alla memoria dell'Amica, grandissima “Artista”, Magda Olivero e alludo anche alla vicenda storica locale che ha dello incredibile e che riguardò la premeditata e vandalica distruzione del Palazzo dei Principi di Cittadella, di cui mi premeva rimarcarne qui l'estrema gravità, affinché non venisse mai dimenticata dai Piombinesi.


IL MOSTRO D'ACCIAIO

Da ragazzi si usava andare in giro per Piombino ad esplorare le zone più appartate e isolate della nostra città, in cerca di evasione e di nuove esperienze. Bisognava conoscere bene il nostro territorio. A parte le scorrazzate in bicicletta fra gli Etruschi, a Baratti e a Populonia, spaziavamo, che so, da Salivoli allo Scoglio d'Orlando a Calamoresca, dalla Pinetina ai Quattro Pini, dalla Tolla al Semaforo al Porto, dal Bottaccio a Marina al Canaletto, passando naturalmente, per le "Cento Scalinate". Questo era uno dei luoghi più misteriosi e avvincenti della Cittadella, che, al pari del Castello, costituiva per noi tutto un mondo da scoprire, che attraeva e impressionava allo stesso tempo: attraeva per irresistibile curiosità e impressionava per il senso di inviolabilità che evocavano quelle antiche muraglie difensive.
Nessuno, tranne il caso di Licurgo Cappelletti, aveva coltivato la storia vera e antica della nostra città, e in pochi, si può dire, ne sapevano qualcosa. Ciò che veniva divulgato era appannaggio degli anziani, che lo tramandavano ai giovani arricchendolo di volta in volta di orpelli sempre più fantasiosi e volgari, perfino truculenti. Ma quanto si andava tramandando di generazione in generazione era limitato a fantasie sul primo Ottocento e sulla “Baciocca” in particolare. Si ha un bel dire, oggi, Piombino erede di Populonia etrusca e medievale! Piombino ex Capitale del suo Stato! Con quell'andazzo tutto piombinese, chi aveva fatto le spese di tanta colpevole ignoranza era stata proprio Elisa Bonaparte Baciocchi, soprannominata con spregio la Baciocca, l'ultima e l'unica Principessa di Piombino in bocca al popolo. Il quale aveva ricalcato per lei più il ritratto perverso di una Messalina o di Lucrezia Borgia che di una sovrana illuminata dell'Ottocento.
Per spiegarsi i motivi di tale “demonizzazione” sul piano personale e morale, bisogna accennare alla sorta di “leggenda nera”, diffamatoria, diffusa dagli oppositori di Napoleone e dei Napoleonidi dopo la Restaurazione e la caduta di questi ultimi. Ecco, dunque, il perché della fama delle "Cento Scalinate", giù dalle quali, secondo tradizione orale rozza e inesplicabile, venivano scagliati in mare i giovani piombinesi, attirati a Palazzo, dopo che la stessa Principessa se ne era servita per i suoi deliri erotici. Tradizione rozza perché nata volutamente per denigrare la sovrana, inesplicabile anche perché stiamo parlando dell'epoca napoleonica e non certo del tempo di Pia de' Tolomei.
D'altronde, la storia che ha caratterizzato già la seconda metà dell'Ottocento e gran parte del Novecento di una Piombino precocemente industrializzata è stata la storia del capitalismo industriale in atto e della contrapposta lotta di classe, e si può dire che nella memoria collettiva l'unico sentimento del passato che avesse cittadinanza nel dopoguerra datava dal famoso sciopero-serrata del 1911, durato quasi sei mesi e che ebbe una grande eco sulla stampa nazionale, passando per il 1917 russo, l'insurrezionalismo anarchico degli anni '20, il 1921 livornese fino agli Anni '40-'50 ed oltre.
Le date sono queste, consacrate anche in noti saggi che trattano del movimento operaio locale. In tutti i decenni suddetti la città antica non si chiamava neppure centro storico: si definiva semplicemente “Piombino vecchio”, e come tale si poteva impunemente offendere, ferire, sfigurare. Infatti, la Cittadella fu stravolta, il Castello imbarbarito e abbandonato, persino il Torrione e il Rivellino non ebbero particolari attenzioni. Come se deturpare i monumenti e il paesaggio fosse indizio di modernità, nuovi edifici popolari andarono a invadere le zone-belvedere di Piazza Sant'Agostino e perfino di Piazza Manzoni.
Nel primo dopoguerra, come dicevo, nelle scorribande di noi ragazzi in Cittadella, Elisa, la Principessa emula del Grande Còrso, era sempre presente nelle nostre fantasticherie. CONTINUA NEL LIBRO

 
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