Evoluzionismo ieri e oggi   Home

 Rita Gherghi 2007 – 2008

 

DARWIN E GLI SVILUPPI DEL DARWINISMO

1) Scorcio storico prima di Darwin

La dottrina dell’evoluzione, che rappresenta una delle scoperte scientifiche che hanno influito con maggior vigore sulla cultura moderna e sulle concezioni dell’uomo contemporaneo, fu concepita e spiegata, nelle sue basi teoriche, da Charles Darwin nel corso del secolo XIX°. Ciò avvenne in un periodo veramente fruttuoso quanto ad indagini scientifiche e di grandi progressi nel campo delle scienze naturali.
Comunque già precedentemente nel corso del ‘700 molti scienziati e anche filosofi avevano cominciato a mettere in discussione la concezione di un mondo immutabile; una tale teoria era conosciuta come dottrina “ fissista “. Ad esempio Kant sosteneva nel 1775 che il sistema solare poteva aver tratto origine da una nebulosa primitiva che girava vorticosamente nello spazio; Pierre Simon de Laplace alla fine del secolo sosteneva la stessa ipotesi.
Chiediamoci da dove e perché sorgano queste nuove teorie, che a dire la verità hanno comunque dei precedenti storici, anche molto lontani nel tempo ( Rita Gherghi “ Evoluzionismo, fede e Filosofia – Il loro rapporto nel mondo contemporaneo “, ed. La Bancarella 2007, Piombino, pg. 78 ).
Capire il perché di tali nuovi orientamenti ci porta alla seconda metà del ‘700, un secolo ricco di viaggi, spedizioni scientifiche e di esplorazioni; tutto ciò, sebbene fosse motivato anche, e forse soprattutto, da scopi di interesse commerciale, aveva dato un forte impulso alla ricerca in campo biologico e fatto nascere la paleontologia e la geologia che, con gli studi di Lyell ( 1797 – 1875 ) e Cuvier ( 1769 – 1832 ), avevano rivelato strati geologici formatisi in tempi successivi, che incorporavano i resti di specie animali e vegetali ormai scomparse da tempo dalla terra. George Cuvier era studioso di anatomia comparata e fiero oppositore dell’evoluzionismo lamarckiano; egli sosteneva che le variazioni fossili erano dovute a sconvolgimenti del globo. Tale teoria era il cosiddetto “ catastrofismo “. Charles Lyell, geologo inglese, fu teorico dell’ “ attualismo “; quest’ultima è una teoria la quale sostiene che i fenomeni geologici che avvengono oggi ad opera delle attuali forze endogene ed esogene corrispondono agli analoghi fenomeni avvenuti in epoche lontane. Tale teoria si contrappone al catastrofismo di cui sopra.
Inoltre, sempre a quell’epoca nel campo della biologia lo sviluppo dei metodi di analisi comparata degli organismi rendeva sempre più inverosimile concepire le specie viventi come fisse e immutabili, mentre le scoperte di animali difficilmente classificabili negli schemi esistenti imponeva con sempre maggiore forza l’idea di un’evoluzione delle specie.
Comunque fino a Lamarck non è possibile parlare di evoluzionismo vero e proprio. L’evoluzionismo scientifico, infatti, nacque con il francese Jean Baptiste Lamarck ( 1809: “ Filosofia zoologica “ ) secondo il quale i caratteri acquisiti durante la vita possono essere trasmessi ai discendenti ( ereditarietà dei caratteri acquisiti ); oggi questa teoria è stata abbandonata, perché non ha trovato verifiche sperimentali convincenti. Vedremo meglio le ragioni più avanti.
Per il momento limitiamoci a fissare i punti fondamentali del lamarckismo:

1)Egli sosteneva che gli individui di ogni specie durante la vita compiono un continuo sforzo per raggiungere le risorse alimentari e per difendersi, di modo che, nel corso della vita, il loro corpo si modifica. Tali modificazioni erano ritenute ereditarie, per cui, nel corso delle generazioni, “ l’uso potenzia l’organo mentre il disuso lo atrofizza “.
2)Nella visione di Lamarck, dunque, l’ambiente ha una funzione diretta nel determinare l’evoluzione; qualora l’ambiente non cambiasse, l’evoluzione non avrebbe luogo.

Nella concezione di Darwin, invece, come vedremo più avanti, l’evoluzione nasce dalle variazioni casuali ( vedremo meglio il senso di tale termine “ casuale “ ), che esistono comunque, a prescindere dalle variazioni ambientali; l’ambiente ha la funzione di selezionare negativamente i caratteri svantaggiosi.
Come vedremo, le ipotesi di Darwin hanno resistito al meglio al vaglio sperimentale.

2) Darwin

Riprendendo quanto sopra, resta che di fondamentale importanza fu l’opera di C. Darwin ( 1809 – 1882 ) che dedicò tutta la sua vita a raccogliere materiale di studio, per giungere alla formulazione di una teoria dell’evoluzione che avesse un solido fondamento scientifico.
Egli mise a punto concetti come quello di “ evoluzione ramificata “, che implica la discendenza da un’origine comune di tutte le specie viventi e di “ evoluzione graduale “, contrapposta a quella a salti ( mutazionismo ) che sosteneva come una nuova specie si afferma attraverso una singola mutazione.
Netta era in Darwin l’esclusione di qualunque interpretazione di tipo finalistico, sostenuta da altre teorie, ed inoltre utilizzò sempre l’espressione “ discendenza con modificazione “, probabilmente perché riteneva che la parola “ evoluzione “ suggerisse un legame troppo stretto con il concetto di progresso. ( qui ho i miei forti dubbi, come verificabile se andiamo ad analizzare i passi tratti dall’opera di Darwin e riportati nel mio libro: “ Evoluzionismo, fede e filosofia “ cit. pg. 150 ).
Secondo Darwin il meccanismo della discendenza con modificazioni avviene in due fasi:

1)dapprima si ha sviluppo di un’abbondante varietà di individui
2)questi vengono poi selezionati tramite il criterio della sopravvivenza del più adatto, o selezione naturale.

La prima fase è dominata dalla causalità, la seconda dalla necessità.
Darwin aggiunse alla selezione naturale, come meccanismo di selezione, anche la “ selezione
sessuale “, dovuta alla scelta femminile che spinge uno dei due sessi a sviluppare caratteri secondari abnormi e, in apparenza, in contrasto con la sopravvivenza, come i palchi dei maschi dei cervi europei o la coda dei pavoni.
Rimando, comunque, al mio libro per i particolari sul viaggio attorno al mondo fatto da Darwin e per le linee generali della sua teoria ( cit. pag. 80 ).

 

3) Darwin e la fede cristiana

Vorrei ora prendere in esame l’atteggiamento di Darwin nei riguardi della fede cristiana o meglio dell’ interpretazione tradizionalistica della stessa.
Egli discendeva da una famiglia anticonformistica. Sebbene molti membri della sua famiglia fossero dei liberi pensatori, egli inizialmente non dubitò della verità letterale della Bibbia. Anzi frequentò una scuola anglicana, poi a Cambridge studiò teologia anglicana per diventare prete, ed era pienamente convinto dell’argomento teologico di W. Paley, secondo il quale il progetto della natura dimostrava l’esistenza di Dio, per giunta di un dio che aveva creato il tutto per uno scopo benefico.
Tuttavia le sue credenze cominciarono a cambiare durante il suo viaggio sul Beagle. Mise in questione quello che vedeva, rimanendo perplesso, per esempio, di fronte al fatto che belle creature degli abissi oceanici fossero state create dove nessuno le poteva vedere, e rabbrividendo alla vista di una vespa che paralizzava bruchi e li offriva come cibo vivo alla proprie larve; considerò che questo ultimo caso era in contraddizione con la visione di Paley di un progetto benefico.
Mentre era sul Beagle Darwin era però rimasto ortodosso, e citava la Bibbia come un’autorità sulla morale, ma aveva cominciato a vedere la storia del Vecchio Testamento come falsa ed inaffidabile.
Mentre stava sviluppando segretamente la sua teoria della selezione naturale, dato che era ritenuta negli ambienti ecclesiastici un’eresia bestiale, Darwin scrisse persino della religione come di una strategia di sopravvivenza tribale, sebbene credesse ancora che Dio fosse il legislatore ultimo.
La sua credenza continuò ad attenuarsi nel tempo, e infine, con la morte della sua figlia Annie nel 1851, Darwin perse tutta la fede nel Cristianesimo, come religione positiva. Continuò a dare sostegno alla chiesa locale e ad aiutare con il lavoro parrocchiale, ma di domenica faceva una passeggiata mentre la sua famiglia andava a messa.
In età avanzata, quando gli venne chiesto delle sue convinzioni religiose, scrisse che non era mai stato un ateo nel senso di negare l’esistenza di un Dio, ma che in generale “ agnostico, sarebbe la più corretta descrizione del mio stato mentale “.
Morì a Dawne il 19 aprile del 1882; ricevette funerali di stato e fu sepolto nell’abbazia di Westminster accanto a Newton.

 

4) Dopo Darwin

La controversia fra le diverse teorie evolutive durò diversi decenni; le ricerche nel campo della genetica e, in seguito, della biologia molecolare, fornirono poi molti argomenti a favore del darwinismo.
Ormai tale teoria è accettata quasi unanimemente, almeno in ambito scientifico; il dibattito, a volte anche aspro, verte principalmente sul peso da attribuire ai diversi fattori che agiscono sull’evoluzione.
Nel rapporto fra “ casualità “ e “ necessità “, ad esempio, R. Dawkins e D. Dennett privilegiano la seconda, nella convinzione che la selezione naturale regoli tutto ciò che ha qualche importanza nell’evoluzione, riducendo di molto il ruolo ricoperto dalla fase della variazione. Tale corrente prende nome di Fondamentalismo darwiniano, nome che le è stato attribuito da Stephen Jey Gould e Niles Eldredge.
Questi ultimi, invece, privilegiano l’aspetto della casualità, , e sostengono la teoria che viene definita degli Equilibri punteggiati: secondo tale teoria l’evoluzione non procede con un cambiamento lento e costante, ma con l’alternanza di lunghi periodi di stasi e repentini cambiamenti, a volte dovuti ad eventi catastrofici, come la scomparsa dei dinosauri che sarebbe stata causata dall’impatto di un gigantesco meteorite.

 

5) Il darwinismo oggi: il Neodarwinismo

 

Il Neodarwinismo, detto anche “ Teoria sintetica dell’evoluzione “, è la versione moderna dell’originaria teoria di C. Darwin, riveduta ed arricchita alla luce di un secolo e mezzo di ricerche successive.
Mettiamolo a confronto con il darwinismo:

Pilastri della dottrina di Darwin:

1)Gli individui di ogni specie differiscono l’uno dall’altro per caratteri che insorgono in modo casuale ( caratteri presenti fin dalla nascita ).
2)Ogni generazione produce più prole di quanta non possa sopravvivere.
3)Fra gli individui della stessa specie insorge, quindi, una competizione per nutrirsi e per riprodursi ( = lotta per l’esistenza ).
4)Arrivano a riprodursi solo gli individui che nella competizione hanno il sopravvento sugli altri ( = sopravvivenza del più adatto ); la qualità di “ più adatto “ si manifesta proprio nella riproduzione, l’unico evento, nella vita di un individuo, rilevante ai fini dell’evoluzione.
5)Il “ più adatto “ trasmette alla discendenza i suoi caratteri, e quindi la specie si modifica gradualmente in questo senso.

Con tale formulazione, Darwin ha posto per primo una base sperimentale e causale a spiegazione dell’evoluzione.
Per amor del vero, contemporaneamente un altro naturalista inglese, di nome Wallace, spiegò sorprendentemente l’evoluzione con lo stesso meccanismo con il quale lo spiegò Darwin. Anche Wallace aveva compiuto due spedizioni, anche se in luoghi diversi: una nell’Amazzonia e una nelle isole della Malesia.

Principali integrazioni sopravvenute:

1)Le differenze che sussistono fra gli individui, di cui Darwin non conosceva la natura, sono attribuite oggi al genoma ( contenuto nei cromosomi e nel citoplasma ) e alle sue mutazioni casuali. Si è così trovata una base sperimentale a sostegno dell’ipotesi darwiniana.
2)Punto confermato, anche se con limitazioni.
3)Idem.
4)Idem.
5)Il modo in cui si trasmettono i caratteri è visto ora in modo del tutto nuovo. Anzitutto, le scoperte di Mendel e dei suoi successori hanno stabilito delle leggi dell’ereditarietà. Inoltre l’elaborazione di Weissman e di altri ha portato a distinguere quali mutazioni si ereditano e quali no, introducendo il concetto di linea somatica e linea generale.

Secondo la veduta neodarwinista questi principi regolano allo stesso modo la micro – e la macro - evoluzione. Tutta la storia della vita consisterebbe nell’accumulo di mutazioni casuali e nella loro selezione. Si parla quindi di evoluzione graduale e continua.

Altri elementi fondamentali dell’evoluzione e che indussero Darwin e Wallace alle loro conclusioni comuni.

Molta importanza nelle conclusioni dei due naturalisti ebbe il mimetismo. Esso fece riflettere sul meraviglioso adattamento di un essere vivente al suo ambiente.
Anche la diversità riveste un ruolo sostanziale; solo così, infatti, si possono sviluppare i più adatti che vengono favoriti dall’ambiente. Se le diversità fossero poche, essendo la maggior parte negative rispetto all’ambiente e poche le fortunate, l’evoluzione non avrebbe luogo e la maggior parte delle specie si estinguerebbe.
Quando Darwin giunse nell’America meridionale notò che, osservandoli bene, molti animali sembravano tipi modificati rispetto a quelli africani. Ma come ci erano arrivati?
La risposta aveva un nome: “ GOLDWANA “. Un’originaria terra unica, che poi nel corso dei millenni si è separata nei singoli continenti. Ogni pezzo di terra portava degli ospiti che con il passare del tempo si allontanavano sempre più dai loro simili. Così, ognuna delle specie cominciò ad evolversi in modo diverso, fino a rendere difficilmente riconoscibile la propria parentela. Ad esempio, in America le scimmie svilupparono una coda prensile. In Africa, invece, si svilupparono scimmie bipedi, dalle quali nacquero i vari rami degli ominidi fino ad arrivare al genere Homo ( a tale proposito vedi “ Evoluzionismo, fede e filosofia “ cit. pag. 147 ).
Ecco confermata l’importanza delle diversità. Darwin notò che le tartarughe delle Galapagos erano diverse da isola ad isola; chi se ne intende, infatti, può riconoscere da quale isola proviene un esemplare solo osservando il suo guscio o carapace o altri particolari. Così i becchi dei fringuelli erano diversi da isola a isola e ciò dipende dalle diverse abitudini alimentari. Chi si nutre di semi ha il becco grosso; che si ciba di insetti piccoli ha il becco lungo e appuntito. Questi modelli di differenziazione possono essere estesi a molte altre specie animali.

 

LA STORIA DELLA VITA

1) Momenti fondamentali della nascita della vita

Il primo passo per la formazione della vita fu, paradossalmente, un effetto serra che sciolse il ghiaccio e formò i mari.
La vita cominciò in pozze raggiunte continuamente dalla marea.
In questo mondo dinamico si formarono molecole destinate ad essere continuamente spezzate dalle radiazioni emesse dal sole e in parte anche dai fulmini. Le rocce roventi dei vulcani rilasciarono poi molte sostanze chimiche nei mari.
Nel corso di milioni di anni il gioco di incastri tra atomi e molecole dettato dal caso e dalla chimica portò alla formazione di catene complesse come il D.N.A.
La vita ebbe inizio con i batteri, semplici filamenti all’interno delle pareti di una cellula.
Il D.N.A. acquisì anche la capacità di separarsi e duplicarsi formando nuovi individui e nuovi batteri.
Col tempo comparvero delle cellule in grado di sfruttare la luce solare grazie alla clorofilla e alla fotosintesi; quest’ultima produce molto ossigeno, quasi assente nella atmosfera primordiale. Il risultato fu la formazione dell’atmosfera con il prezioso strato di ozono.
Ciò che colpisce nella formazione della vita è che le prime cellule si formarono quasi subito, cioè in poco tempo, mentre ci volle moltissimo per arrivare ai primi esseri pluricellulari.
Da questo momento, però, la vita esplode. Le trasparenti creature del mare e poi i trilobiti e via dicendo invasero in poco tempo i mari; le piante iniziarono a colonizzare la terra e in seguito anche gli animali, con i primi anfibi. Il resto lo conosciamo.
Le variazioni, secondo le leggi di Darwin, portarono alla formazione di specie sempre più diverse e numerose e a ciò contribuirono anche le grandi estinzioni.

 

2) Le grandi estinzioni

La vita ha rischiato di estinguersi molte volte sulla terra, causa cambiamenti climatici più o meno “ repentini “ o a causa di bombardamenti da parte di asteroidi o comete. Le grandi estinzioni sono state molte di più di quanto comunemente si creda; ecco le maggiori:

1)450 milioni di anni fa la vita negli oceani fu messa gravemente in crisi. Ciò a causa di una grande glaciazione che provocò l’abbassamento dei mari con conseguente estinzione delle diverse forme di vita. Scomparve l’85% delle forme viventi.
2)365 milioni di anni fa scomparve il 70% delle specie marine e degli invertebrati terrestri causa un’estesa glaciazione o, forse, per l’impatto di asteroidi.
3) 250 milioni di anni fa avvenne la più grande estinzione di tutti i tempi causa la caduta di asteroidi sul nostro pianeta. Le specie coinvolte furono il 90 – 95 %. Questa estinzione mise a dura prova la presenza della vita sulla terra.
4)205 milioni di anni fa, forse per innalzamento della temperatura, il 75 % degli animali marini e di anfibi primitivi scomparve dalla faccia della terra.
5)C’è poi l’estinzione risalente a 65 milioni di anni fa, la più conosciuta, che coinvolse i famosi dinosauri. L’80 % delle specie viventi scomparve dal pianeta terra e ciò fu l’effetto della caduta di un grande meteorite di 10 Km. di diametro. Qui comincia anche la nostra storia con il sopravvento che in una tale occasione presero i mammiferi.

 

LE LEGGI DI MENDEL

 

Facciamo ora un breve cenno a quelle che sono conosciute come le “ Leggi di Mendel “.
Mendel formulò nel 1866 delle leggi riguardanti la trasmissione dei caratteri genetici, leggi che indicavano una stabilità nella trasmissione dei caratteri ereditari.
Mendel sperimentò inizialmente incrociando piante di pisello ( Pisum sativum ) scelte per caratteristiche di altezza ( alte e basse ). Notò che piante alte incrociate tra loro ( non ibride ) davano luogo ad individui alti e le basse ad individui bassi.
Successivamente si rese conto che incrociando una pianta alta con una bassa, il I° gruppo di discendenti ( che si usa indicare oggi con F1 o I° generazione ) era composto da piante alte. Dunque “ alto “ è il carattere dominante.
Se però si incrociavano tra loro alcune piante della generazione F1, le piante della generazione F2 presentavano costantemente una proporzione di 3 piante alte ed una bassa ( 3 a 1 ).
Il tipo di assortimento di fattori può venire predetto statisticamente tramite le leggi del calcolo delle probabilità.
Tali leggi si possono sintetizzare nel modo seguente:

1)della dominanza: negli incroci prevale il carattere dominante sul recessivo.
2)Della segregazione: nella seconda generazione il 50% riproduce l’ibrido della prima generazione, il 25% è di forma pura col carattere dominante, il 25% è di forma pura col carattere recessivo.
3)Dell’assortimento indipendente: i caratteri sono indipendenti, e si uniscono, nella seconda generazione e seguenti, in tutte le combinazioni possibili.

Le leggi scoperte da Mendel furono trascurate sino agli inizi del ‘900, quando tre botanici ( K. Correns, E. von Tschermak e H. de Vries ) ottennero separatamente risultati analoghi a quelli di Mendel.

Mendel Johann Gregor ( 1822 – 1884 ) era un biologo boemo, frate agostiniano; formulò le sue leggi sull’ereditarietà nel 1865.


TORNIAMO ALL’EVOLUZIONE

Le interpretazioni oggi

 

Richard Dawkins e la sua interpretazione di Darwin

Abbiamo già toccato il darwinismo oggi e il neodarwinismo.
Adesso vogliamo affrontare lo studio delle posizioni di uno tra i maggiori studiosi appartenente alla corrente già definita “ fondamentalismo darwiniano “, mi riferisco a R. Dawkins.
Procederemo allo studio del suo pensiero, riferendoci soprattutto a due delle sue più famose pubblicazioni: “ L’orologiaio cieco – Creazione o evoluzione “, Oscar Mondatori 2003; e ancora “ L’arcobaleno della vita – La scienza di fronte alla bellezza dell’universo “, oscar Mondatori 2002.

1) Prefazione al libro

Nella prefazione al suo “ L’orologiaio cieco “, Dawkins ci dice che uno fra i compiti principali che intende proporsi è quello di distruggere il mito, che gode di un grandissimo seguito, che il darwinismo sia una teoria del caso. Così, infatti, viene interpretato dalla maggior parte dei lettori comuni, i quali finiscono in tal modo o con il negare Darwin per motivi religiosi o con l’abbandono di ogni tipo di fede in un eventuale ente superiore.
Dawkins non è certo un uomo di fede, ma nel suo libro ci delucida come la dottrina di Darwin non può essere interpretata come un gioco puramente casuale.
E’ questo il primo scopo che Dawkins si prefigge nel libro suddetto.
Ma dobbiamo considerare un secondo scopo:
In secondo luogo D. prende in esame la resistenza di molti al darwinismo; qui egli afferma che il nostro cervello sembra predisposto a resistere al darwinismo causa il nostro grande successo come “ progettisti creativi “. In sostanza D. vuole dimostrare che noi tendiamo a vedere un progetto in natura perché così siamo abituati nella nostra vita.
Infine c’è un terzo aspetto che D. prende in considerazione:
“ Io sono stato indotto a scrivere questo libro dalla sorpresa provata nello scoprire che un numero grandissimo di persone sembrano non rendersi conto non solo dell’esistenza di una soluzione bella ed elegante a questo problema ma, incredibilmente, in molti casi, neppure dell’esistenza di un problema “. Cosa vuol dire D. con queste parole?
Egli vuol significare che, data la sua infinita complessità, la natura è un problema, o meglio, costituisce un problema spiegare l’interna struttura di questo mondo che ha innegabilmente del meraviglioso. Ma la cosa eclatante è che moltissimi non si accorgono neppure dell’esistenza di un problema. Ciò significa che l’uomo vive molto superficialmente nella maggior parte dei casi, campa giorno per giorno, evidentemente senza nemmeno pensare a ciò che lo circonda.
Questo significa non aver capito nulla dell’esistenza e, in definitiva, significa non – vivere.
Andiamo ora ad analizzare i suoi punti di vista con i quali, anche se non ci troviamo d’accordo, di certo possiamo trovare una spinta ad un’analisi interiore e a porci delle domande in più sull’universo e sulla vita che ci circonda.

 

2) Spiegare il molto improbabile

Il mondo che abitiamo, l’universo che conosciamo si rivelano realtà molto complicate e, come afferma R. Dawkins, “ il nostro universo è, …, solo un minuscolo frammento dell’universo reale. Su altri pianeti potrebbero esistere oggetti ancora più complicati di noi… “.
D. continua dicendo che le cose complicate meritano un tipo speciale di spiegazione. “ La biologia è lo studio di cose complicate che danno l’impressione di essere state progettate in vista di un fine “.
“ Ciascuno di noi è una macchina, come un aereo di linea, anche se molto più complicata. Anche noi siamo stati progettati su un tavolo da disegno, …? La risposta è: no. E’ una risposta sorprendente, e noi la conosciamo e la comprendiamo solo da un secolo circa “.
Aggiunge poi che molte persone credono ancora ad una creazione divina in vista di un disegno e ciò, forse, perché la dottrina di Darwin non è ancora entrata nel curriculum dei programmi scolastici. “ Si può certamente affermare senza tema di smentita che la teoria di Darwin è ancora oggi fraintesa da molte persone “.
Ed ecco la chiara argomentazione attraverso la quale D. spiega e nega allo stesso tempo la teoria di Paley, il quale è certo di un disegno intelligente. Paley lo fa, tra l’altro, con questa famosa argomentazione nella sua “ Teologia naturale “:

 

“ Attraversando una brughiera, supponiamo che io avessi urtato col piede contro una pietra, e che qualcuno mi avesse chiesto in che modo la pietra fosse venuta a trovarsi là; Io avrei forse potuto rispondere che, a quanto ne sapevo, quella pietra poteva trovarsi là da sempre; … supponiamo, però, che io avessi trovato al suolo un orologio,…; io non avrei certo potuto pensare alla risposta che avevo dato prima, ossia che, a quanto ne sapevo, l’orologio poteva essere là da sempre “.

 

Ma cosa risponde R. Dawkins?
Egli afferma che l’argomentazione di Paley è senza dubbio condotta con estrema sincerità e che perciò va ammirata, “ ma è sbagliata, clamorosamente e totalmente sbagliata. L’analogia tra il telescopio e l’occhio, fra l’orologio e l’organismo vivente, è falsa “.
Ma da dove nasce, secondo R. Dawkins, una tale falsità?
“ Nonostante ogni apparenza del contrario, l’unico orologiaio in natura sono le forze cieche della fisica, anche se impiegate in un modo speciale. Un vero orologiaio ha la prescienza: egli progetta i suoi ingranaggi e le sue molle e ne prevede le interconnessioni, avendo in vista il fine futuro. La selezione naturale, il processo cieco, inconscio, automatico che fu scoperto da Darwin e che, come oggi sappiamo, è la spiegazione dell’esistenza e della forma apparentemente finalistica di ogni essere vivente, non ha in vista alcun fine… Se si può dire che essa svolge un ruolo di orologiaio in natura, è l’orologiaio cieco “.

Ora ciò che obietto a R. Dawkins è quanto segue:
anche lui, come a suo tempo Paley, svolge una ricerca attenta e con estrema sincerità; ma qui si dà il caso di trovarci di fronte non ad un semplice orologio, ma ad una macchina infinitamente più complicata nella quale, anche se ci sono, è quasi impossibile trovare gli ingranaggi, le molle e scoprirne le interconnessioni che pure esistono, come ci spiega lo stesso Dawkins, nel suo “ Arcobaleno della vita “, parlando della complicanza dell’occhio in ogni essere vivente, anche ammettendo che esso non è altro che il frutto dell’ evoluzione, tramite selezione.
A questo occorre poi aggiungere, come già esposto nel mio ultimo libro, che nell’universo ci sono delle Leggi fisiche ben precise, che lo stesso D. deve ammettere e per le quali non credo che possa valere la selezione naturale. Anche a mio parere la selezione è un processo casuale, ma tale casualità può valere per l’evoluzione delle specie viventi, ma non per le leggi fisiche che governano da sempre l’universo. Esse sono immutabili e, forse, ce ne saranno molte di più rispetto a quelle che noi conosciamo.
Inoltre più avanti vedremo che la stessa selezione è un processo solo in parte casuale, per il resto essa risponde a delle necessità ben precise.

D’altra parte, nonostante il suo dichiarato ateismo, D. afferma che una cosa che non farebbe mai è quella di “ sminuire la meraviglia verso gli orologi – viventi che ispirò così fortemente Paley “. Al contrario egli dichiara di sentirsi più vicino a questo ultimo che non ad un filosofo moderno, ateo ben noto, con il quale avrebbe discusso una volta a pranzo su tale argomento. “ Alla mia affermazione che non potevo immaginare come avrei potuto essere ateo se fossi nato prima del 1859, …, il filosofo ribatte dicendo: - Che cosa ne dici di Hume? – “.
Hume non spiegò la complessità organizzata del mondo vivente, D. invece la tiene molto in considerazione e, al contrario del suo filosofo, sostiene che una tale complessità necessita di una spiegazione e che la sorpresa più grande per lui è vedere che, in molti casi, le persone non vedono neppure l’esistenza del problema. Di qui la grande sensibilità, sincerità e buona fede di R. Dawkins, anche se termina dicendo che: “ … per quanto l’ateismo possa essere stato logicamente sostenibile prima di Darwin, soltanto Darwin ha creato la possibilità di adottare un punto di vista ateo con piena soddisfazione intellettuale … “.

Dawkins prosegue la sua trattazione dell’origine delle cose dal caso con le tesi seguenti:

Egli afferma che, premesso che il Monte Bianco o la Luna possono essere ritenute delle cose semplici a differenza di un essere vivente che è ritenuto una cosa complessa, qualsiasi collezione di parti accozzate assieme è unica nel suo genere ed improbabile quanto qualsiasi altra. “ Il mucchio di rottami di ferro in un cantiere di demolizione di aerei è unico. Non esistono due mucchi di rottami uguali. Se cominciamo ad accumulare frammenti di aerei in mucchi, la probabilità di imboccare due volte esattamente la stessa disposizione dei pezzi è esattamente altrettanto piccola quanto quella di ottenere un aereo di linea funzionante. Allora perché non diciamo che un cumulo di rifiuti, o il Monte Bianco, o la Luna, sono altrettanto complessi quanto un aereo o un cane, dato che in tutti questi casi la disposizione degli atomi è altrettanto improbabile? “.
D. sostiene che è solo col “ senno di poi “ che noi giudichiamo un aggregato casuale di cellule come un successo o meno della natura; ma sempre di un aggregato casuale si tratta sia che ci si riferisca al M. Bianco o ad un qualunque essere vivente, non diversamente da un qualsiasi aggregato di rottami.
Ma noi continuiamo a dire che gli esseri viventi, piante e animali e uomini, sono realtà troppo complesse per prevedere una giustificazione del genere.
Come ci rispondono a questo proposito Darwin e Dawkins?
“ noi spiegheremo il suo divenire all’essere come una conseguenza di trasformazioni graduali, cumulative, passo per passo, da cose più semplici, da oggetti primordiali abbastanza semplici da poter avere avuto origine per caso “.
Insomma ciò che oggi è complicato non sarebbe che il risultato di graduali semplici trasformazioni da cose semplici.
Dal momento in cui “ le molecole hanno imparato a competere fra loro e a creare altre molecole a loro immagine, elefanti, e cose simili agli elefanti, si troveranno a tempo debito a vagare per le savane ( Peter Atkins “ La creazione “ Oxford ).
Dunque tutto parte da una prima aggregazione fortuita che poi si è via via replicata, complicandosi.
Però, questa pur bella spiegazione fondata sull’innegabile casualità delle variazioni non mi sembra che risolva tutti i problemi, né quello delle leggi dell’universo, che resta poi il fondamentale, né quello dell’origine prima del tutto. E in fondo anche l’aggregazione delle cellule nella formazione uterina di un nuovo individuo segue delle leggi precise, replicandosi; inoltre l’esperienza dimostra che il caso difficilmente si replica, a meno che non si tratti di una scoperta fatta per caso che si rivela utile, e che, dunque, si decide di ripetere e che,in ultima analisi, diventa cultura. Ma ciò succede solo tra gli umani o tra gruppi di animali tra i più intelligenti.

 

3) Spiegare il molto improbabile

Nel II° capitolo Dawkins spiega che la più parte degli uomini tende ad interpretare come un progetto intelligente il divenire della vita o meglio l’evoluzione delle specie, cosa che in realtà non lo è, ma è “ solo “ il frutto di una lunghissima e complicatissima selezione naturale avvenuta nell’arco di miliardi e miliardi di anni.
A tale scopo R. Dawkins porta l’esempio dei pipistrelli e del loro complicatissimo “ sonar “. L’ecolocazione usata dai pipistrelli è solo uno dei moltissimi esempi che possono illustrare il progetto razionale; c’è, ad esempio, anche l’occhio umano e quell’ingegnoso dispositivo chiamato il “ cristallino “. In effetti, dice Dawkins, gli animali danno la chiara impressione di “ essere stati progettati da un fisico o da un ingegnere molto dotato nella teoria e molto ingegnoso nella pratica… “. L’ipotesi del progettista è materializzata nel progetto dello strumento ma, come proprio accade negli animali, lo strumento stesso non comprende il proprio funzionamento. Prendiamo l’esempio di un ragno che fabbrica la sua ragnatela.
Ma come mai noi siamo condotti all’ipotesi dell’ingegnere? D. risponde che è la nostra stessa “ esperienza della tecnologia elettronica “ a trarci in inganno; una tale idea noi la trasferiamo ad ogni meccanismo vivente. Come noi assembliamo i pezzi per creare un meccanismo, così tendiamo a vedere, nella genesi di una macchina complessa, la “ mente di un progettista cosciente e intenzionale. E’ questa seconda intuizione che è sbagliata nel caso delle macchine viventi. In questo caso il – progettista – è la selezione naturale inconscia, l’orologiaio cieco “. Minime variazioni nell’arco dei millenni hanno condotto ciò che in origine era semplice a divenire complesso.
Senza negare le conclusioni, cioè il fatto che le macchine intelligenti siano il risultato della selezione naturale inconscia, io obietto a D. un punto del suo ragionamento: non è vero che è la nostra “ esperienza della tecnologia elettronica “ a trarci in inganno. L’uomo primitivo, per quanto già costruttore di rozzi strumenti, ma efficienti, per offendere e difendersi, non aveva l’idea di una tecnologia, né di ingegneria, né delle matematiche, né di alcunché di logico, eppure aveva già chiara in mente l’idea di un principio primo infinito, potente e creatore del tutto. Basti pensare alla primitiva religione della dea.
In poche parole affermare che le complicate macchine viventi siano frutto del lavoro dell’orologiaio cieco, non significa aver risolto il problema dell’origine dell’universo e della vita.

 

4) L’accumulazione di piccoli mutamenti

Nel capitolo terzo R. Dawkins spiega che cosa si intende per selezione cumulativa, che è poi la parte più importante della selezione naturale scoperta da Darwin.
Abbiamo visto che gli organismi viventi o complessi sono troppo improbabili e “ progettati “ con troppa eleganza per essere il semplice frutto del caso; dunque, come già detto, sono il frutto di trasformazioni cumulative o graduali, a partire da inizi semplici, da elementi primordiali talmente elementari da poter avere avuto origine dal caso.
Ma casuale non è la selezione cumulativa , la quale è un processo diretto dalla sopravvivenza, un processo che è tutt’altro che casuale.
Per esemplificare la comprensione, Dawkins porta l’esempio della molecola di emoglobina, una cosa vivente estremamente semplice se paragonata ad un organismo più complesso; nonostante tale semplicità, “ la probabilità di poter imbroccare per caso l’emoglobina è pari a 1 a 10 alla 190 “. Dunque la selezione a piccoli passi o del tutto casuale “ è chiaramente lontanissima dalla capacità di generare la quantità di ordine che esiste in un organismo vivente “.
Occorre infatti distinguere nettamente la Selezione a piccoli passi dalla Selezione cumulativa. Nella I° le entità selezionate sono selezionate una volta per tutte. A tale proposito R.D. porta l’esempio dei ciottoli e dice che “ se camminiamo avanti e indietro su una spiaggia ghiaiosa, noteremo che i ciottoli non sono disposti in modo casuale “. I ciottoli più piccoli corrono lungo la spiaggia, mentre i grandi occupano altre zone o strisce separate. Aggiunge poi che “ una tribù che vivesse in prossimità della spiaggia potrebbe meravigliarsi dinanzi … alla disposizione ordinata del mondo e potrebbe … attribuirla, per esempio, a un grande spirito in cielo, con una mente precisa e uno spiccato senso dell’ordine “.
In realtà noi sappiamo che tale disposizione è stata ordinata dalle forze cieche della natura o della Fisica, in questo caso preciso dalle onde le quali spostano con energia i ciottoli e si dà il caso che quelli grandi e quelli piccoli rispondano in modo diverso ad un tale trattamento. “ Una piccola quantità di ordine ha avuto origine dal disordine senza essere pianificata da alcuna mente “.
Ancora D. porta l’esempio di un qualunque sistema solare. “ Quanto più un pianeta è vicino al suo sole, tanto più rapidamente deve viaggiare per controbilanciare la gravità dell’astro centrale… Per qualsiasi orbita data c’è una sola velocità… “ possibile. Allora D. si chiede se questo è frutto del miracolo di una “ razionalità previdente “. La risposta è “ no, è solo un altro – crivello – naturale … E’ ovvio che questa non è una prova di un disegno intenzionale. E’ solo un’altra sorta di crivello “. Per comprendere il concetto di crivello, basta rifarsi all’esempio riportato da D. del cumulo di pezzi di ferro.
In realtà, aggiungo io, si tratta di leggi fisiche ben precise, che possono essere nate per caso quanto si vuole, ma sono diventate leggi, cioè ordini immutabili ed eterni; e D. ci ha appena detto che un cumulo di pezzi di ferro è praticamente irripetibile, allora perché questi - crivelli - si ripetono? In ogni caso se da un lato egli afferma che le forze cieche della fisica non sono la prova dell’esistenza di un ordinatore, occorre aggiungere che dall’altro lato non sono neppure la prova che Egli non esista o, più precisamente, D. non ci dà alcuna dimostrazione al riguardo.
E passiamo alla selezione cumulativa. Qui le entità selezionate si “ riproducono “ e poi sono sottoposte ancora ad un nuovo processo di cernita e così via ad infinitum. Non c’è un prodotto finale definitivo perché esso diventa sempre il punto di partenza per una successiva selezione. Un tale processo è diretto, come già detto, dalla sopravvivenza, dunque da un processo necessario, tutt’altro che casuale. In sostanza le variazioni o mutazioni sono casuali, ma non è casuale il mutamento cumulativo nel corso delle generazioni. Per maggiore chiarezza: “ in ogni generazione i figli sono diversi dal loro genitore in direzioni casuali. Non è però casuale quale individuo di quella progenie venga selezionato per trasmettere i propri geni alla generazione seguente … “.
Spieghiamo le mutazioni: in sostanza l’evoluzione consiste, come dice D., in una ripetizione senza fine della riproduzione. In ogni generazione, la riproduzione prende i geni che le vengono forniti dalla generazione precedente e li trasmette a quella successiva, ma con piccoli errori casuali, cioè appunto le mutazioni. Una singola mutazione consiste semplicemente in una aggiunta di + 1 o – 1 al valore di un gene scelto a caso. Dunque qualcosa di impercettibile che, però, col passare delle generazioni, diventa più che manifesto. Un piccolo passo per volta che implica milioni di anni.
La base, cioè la piccola mutazione, è casuale, non lo è la scelta dell’individuo, perché solo il più adatto sopravvivrà; ciò però non significa per Dawkins che alla base della sopravvivenza ci sia una mente, bensì solo le forze cieche della fisica: “ L’evoluzione non ha un obiettivo a lungo termine. Non c’è un bersaglio lontano, nessuna perfezione finale funge da criterio per la selezione, anche se la vanità umana accarezza la nozione assurda che obiettivo finale dell’evoluzione sia la nostra specie. Nella vita reale il criterio della selezione è sempre a breve termine: o la semplice sopravvivenza o, più in generale, il successo riproduttivo “.
Dawkins ha creato al computer una serie di riproduzioni con disegni, partendo da un puntino iniziale e lasciando poi il computer agire da solo, dopo averlo programmato. ( Attenti: dove programmare non significa predeterminare passaggio per passaggio, ma solo dare un imput ad un programma che sia evolutivo ). Sentiamo comunque Dawkins: “ Il succo della storia è che, anche se sono stato io a programmare il computer, dicendogli con grande abbondanza di particolari che cosa doveva fare, non sono nondimeno stato io a pianificare gli animali che si sono evoluti, e sono rimasto del tutto sorpreso quando ho visto per la prima volta i loro precursori. Ero così impotente a controllare l’evoluzione che, persino quando ho voluto espressamente ricostruire un particolare percorso evolutivo, questo compito si è rivelato quasi impossibile “.
L’evoluzione avviene dunque a piccoli passi; i grandi passi non funzionerebbero. Dice infatti Dawkins: “ può darsi che un figlio mutante di quel genitore possa essere ancora migliore ai fini della sopravvivenza. Se però un figlio muta di molto, allontanandosi di una distanza considerevole dal genitore nello spazio genetico, quali sono le probabilità che esso sia migliore del genitore? La risposta è che tali probabilità sono in realtà molto piccole. E la ragione è la stessa che abbiamo appena visto nel caso del nostro modello dei biomorfi. Se la mutazione che stiamo considerando è un salto molto grande, il numero delle possibili destinazioni di tale salto è astronomicamente grande. E poiché, … , il numero dei modi diversi di essere morti è grande quanto quello dei modi diversi di essere vivi, sono molto alte le probabilità che un grande salto casuale nello spazio genetico si concluda con la morte. Quanto più piccolo è il salto, tanto minore è invece la possibilità della morte, e tanto maggiore è la probabilità che il salto conduca ad un miglioramento “.
Ho sottolineato quest’ultima parte perché il lettore mediti bene, leggendola, sul concetto di programmazione, di cui parla Dawkins. La programmazione potrebbe essere proprio questa: le regole fondamentali, base e indispensabili perché vada a buon frutto un processo evolutivo, cioè la logica generale ed esatta o matematica del processo, mentre tutto il resto è affidato al caso. E ciò confermerebbe “ quella strana miscela di caso e necessità “ che presiederebbe alla logica della vita, concetto dato per primo da Jaques Moreau.
Concludendo questa parte, potremmo affermare che alla base della creazione può esserci un “ computer “, ovvero una programmazione computerizzata che ha stabilito solo le regole generali dell’esistenza e dello scorrere della vita. Ciò nell’ipotesi in cui vogliamo ammettere un Ingegnere universale. Ma qui entriamo in un campo che non ha niente a che vedere con la scienza e, secondo il mio punto di vista, neppure con una filosofia che, riguardo a tali argomenti, voglia rimanere con i piedi per terra. La mia è un’ipotesi e niente altro; la fede è tutto altro discorso e la filosofia in cui io credo è una ricerca che deve tenere conto della realtà e della scienza; in sintesi una “ filosofia della scienza “.

 

5) Origini e miracoli

Il problema di questo capitolo è come e quando può aver avuto origine la vita su questo pianeta ( e, per inciso, se può aver avuto origine solo qui o anche altrove. A questo proposito diamo lo schema seguente:

1)La vita è sorta in un solo pianeta nell’intero universo e quel pianeta, … , deve essere la terra.
2)La vita è sorta su un pianeta circa per galassia, nella nostra galassia il pineta fortunato è la terra.
3)L’origine della vita è un evento abbastanza probabile da tendere a verificarsi circa una volta per ogni sistema solare; nel nostro sistema solare il pianeta fortunato è la terra ).

Abbiamo già detto che nella dottrina di Darwin il momento fondamentale non è la selezione a piccoli passi, bensì quella cumulativa, ma sappiamo anche che la selezione cumulativa non può funzionare se non in presenza di un qualche meccanismo minimo di duplicazione e quello unico che noi conosciamo ( R.N.A e D.N.A ) è troppo complesso per avere avuto origine per mezzo di qualcosa di meno di molte generazioni di selezione cumulativa! Dawkins aggiunge che molti vedono in tale punto una pecca fondamentale nell’intera teoria dell’orologiaio cieco e,
dunque, trovano qui una prova del fatto che in origine deve esserci stato un Architetto dell’universo che, forse, non controlla la sequenza degli eventi evolutivi passo a passo, né creò espressamente la tigre e l’agnello … ma creò il meccanismo originale di duplicazione del D.N.A e della sintesi delle proteine che rese possibile la selezione cumulativa e, quindi, l’intera evoluzione.
Qui Dawkins esce con una dichiarazione per me poco pertinente, dicendo che dare un tale tipo di spiegazione significa non spiegare assolutamente niente, poiché in tal modo resta inspiegata l’origine dell’Architetto. “ In questo caso si deve sostenere che - Dio esista da sempre -, e se ci si consente una scappatoia così facile si potrebbe allora dire altrettanto bene che il – D.N.A esiste da sempre – o che – la vita esiste da sempre – “.
In realtà in filosofia sappiamo che il concetto di Dio coincide con la sua perfezione e, dunque, non ha cominciamento.
Fermo restando che lo stesso Dawkins afferma che “ benché la chimica del mondo possa essere cambiata, le leggi della chimica non sono mutate ( ecco perché vengono chiamate leggi ), … “, dunque egli stesso riconosce l’immutabilità delle leggi che proprio per questo, a mio parere, non possono essere il prodotto di un’evoluzione selettiva; le cose stanno per me diversamente. Stanno in modo diverso nel senso che la scienza non può postulare un Architetto o un progettista per spiegare la vita, altrimenti non sarebbe più scienza, la ricerca si fermerebbe ad un certo punto e ciò non rientra nella natura dell’uomo perché è propria di lui l’ansia di conoscere.
Sono invece pienamente d’accordo con Dawkins quando afferma che, anche se non sappiamo ancora esattamente in che modo la selezione naturale abbia avuto origine sulla terra, “ la selezione cumulativa, una volta avviata, mi sembra abbastanza efficace da rendere l’evoluzione dell’intelligenza almeno probabile, se non inevitabile “.
Volendo fare un cenno alle moderne teorie, le quali comunque non sono sostenute da alcuna prova certa e dunque risultano ancora un po’ improbabili, citiamo quelle fondate su un “ brodo “ organico primordiale e quella di Cairns – Smith, risalente a circa 20 anni fa.
La I° dice che l’atmosfera della terra, prima della nascita della vita, fosse molto simile a quella di altri pianeti che sono ancora oggi privi di vita. Mancava l’ossigeno e abbondava l’idrogeno, l’acqua e l’anidride carbonica e dovevano esserci con probabilità ammoniaca, metano e altri gas organici semplici. I chimici sanno che tali condizioni tendono a promuovere la sintesi spontanea di prodotti organici, simulando in laboratorio ricostruzioni di tali condizioni originarie e facendo passare nelle loro beute scintille elettriche per simulare i fulmini e la luce ultravioletta ( che allora, nella mancanza dello strato di ozono, era molto più forte ) hanno visto che nelle beute si sono formate spontaneamente molecole organiche, ma non sono apparsi né DNA né RNA, anche se fra le molecole che si sono formate sono stati trovati alcuni loro componenti, come pure i mattoni delle proteine, gli amminoacidi. Però tali mattoni non si sono ancora uniti per formare una catena capace di autoduplicazione come l’RNA.
Cairns – Smith ipotizza vari tentativi semplici di duplicazione fino ad arrivare al DNA. Potrebbe esservi stata un’intera serie di usurpazioni semplici e il processo originario talmente semplice da avere origine attraverso quella che Dawkins definisce “ selezione per passi singoli “. Per amor della sintesi Smith sostiene che replicatori di argilla sintetizzassero molecole organiche e le usassero ai loro propri fini. Ciò che interessa è che qualche cosa di simile all’RNA sia stato disponibile per molto tempo prima di autoduplicarsi. Quando divenne autoduplicante, questo fu un espediente sviluppato da “ geni “ di cristalli minerali per migliorare l’efficienza di produzione dell’RNA ( o qualche molecola simile ). Una volta, però, che una nuova molecola autoduplcantesi venne all’esistenza, poté prendere l’avvio un nuovo tipo di selezione cumulativa. I nuovi replicatori, se in origine erano marginali, risultarono tanto più efficienti rispetto agli originali da soppiantarli.
Ma come già detto, queste sono solo ipotesi e non c’è nulla di certo; Dawkins afferma che “ ci sembrano un po’ stiracchiate “ e perciò per questa ragione “ siamo inclini a rifiutarle “.

 

6) Rivali condannate

Le teorie diverse dal neo – darwinismo non sono poche: ricordiamo il “ creazionismo “, che già conosciamo, il “ neutralismo “ e il “ mutazionismo “. Le forme viventi sono, però, talmente ben adattate a vivere nel loro ambiente e a riprodursi che, fino a questo momento, solo la teoria di Darwin sembra in grado di dare una spiegazione soddisfacente.

Cominciamo dal “ Lamarckismo".

Quando questa teoria fu proposta per la prima volta, all’inizio dell’800, non era una rivale del darwinismo, che non esisteva ancora.
Secondo il lamarckismo gli animali si sforzano come se, in un certo senso, “ volessero “ evolversi coscientemente. Sembrerebbe un aspetto mistico. In realtà ci sono degli elementi, gli unici adottati dai “ neolamarckiani “ moderni, che vanno presi in considerazione:

1)l’ereditarietà dei caratteri acquisiti
2)il principio dell’uso e non – uso.

Il principio 2 afferma che le parti di un organismo che vengono usate spesso acquistano maggiori dimensioni. Le parti che non vengono usate tendono ad atrofizzarsi e a sparire; ciò si può osservare tranquillamente nel quotidiano.
Passiamo ora a considerare l’altro principio, cioè l’idea che i caratteri acquisiti vengano ereditati dalle generazioni successive. In questa idea non c’è nulla di certo.
Molte persone credono ancora in questa teoria, che non è però sorretta da alcuna prova disponibile. Fino al nostro secolo questa fu la teoria dominante anche tra biologi seri. Lo stesso Darwin credette in essa, senza però includerla nella sua teoria dell’evoluzione.
Lamarck porta il famoso esempio della giraffa: l’animale si sforza per conseguire qualcosa di cui ha bisogno. Le parti del corpo così sollecitate si sviluppano e si modificano in altro modo nella direzione appropriata. Il mutamento viene ereditato dalla generazione seguente e così continua il processo. Noi potremmo rifarci ad un altro caso: se numerose generazioni successive si crogiolano al sole dei tropici, esse diventeranno sempre più scure poiché, secondo Lamarck, ogni generazione erediterà un po’ dell’abbronzatura della generazione precedente. Col tempo i bambini nasceranno già neri ( cosa che in effetti avviene, ma anche in questo caso non per le ragioni esposte da Lamarck ).
Purtroppo per la teoria dei caratteri acquisiti quasi tutti i tentativi sono semplicemente falliti.
Ma perché non si ereditano necessariamente i caratteri acquisiti?
Se i geni fossero un PROGETTO, sarebbe facile immaginare che qualsiasi carattere acquistato dal corpo nel corso della sua vita venisse fedelmente ritrascritto nel codice genetico e di qui trasmesso alla generazione seguente. Il figlio di un fabbro potrebbe ereditare veramente le conseguenze dell’esercizio fisico del padre. Proprio perché i geni non sono un progetto bensì una RICETTA, ciò non è possibile.
E’ proprio qui che si scopre che il lamarckismo non va bene; per maggiore chiarezza esso non è compatibile con l’embriologia quale la conosciamo. Il problema, nel caso dei caratteri acquisiti, è fondamentalmente questo: l’ereditarietà dei caratteri acquisiti va bene, ma non tutti tali caratteri sono miglioramenti. In realtà, per la grande maggioranza sono ferite. E’ chiaro che se l’evoluzione ereditasse in modo indiscriminato tutti i suddetti caratteri, se gambe rotte e cicatrici di vaiolo venissero trasmesse da una generazione all’altra come la pelle indurita della pianta dei piedi e la pelle abbronzata dal sole, non si avrebbe certo un progresso nella direzione generale del miglioramento adattativo. Anziché prendere l’avvio da un progetto nuovo, ogni nuova generazione comincerebbe la vita seguente dal decadimento e dai difetti accumulati dalle generazioni precedenti.
Tale problema non è insuperabile. E’ innegabile che alcuni caratteri acquisiti siano miglioramenti, ed è teoricamente concepibile che il meccanismo di trasmissione ereditaria sia in qualche modo in grado di discriminare i miglioramenti dalle menomazioni.

 

Ma nel chiederci in che modo questa discriminazione potrebbe funzionare, siamo ora indotti a chiederci perché a volte i caratteri acquisiti siano miglioramenti. Perché, ad esempio, le aree di pelle che vengono usate sovente, come la pianta del piede di una persona abituata a correre o camminare scalza, diventano più spesse e dure? Sembrerebbe più probabile che la pelle dovesse diventare più sottile, causa l’usura.
Il darwinismo ha una risposta precisa. La pelle in questione diventa più dura perché la selezione naturale nel passato ancestrale ha favorito quegli individui la cui pelle rispondeva all’usura e alle lacerazioni in questo modo vantaggioso.
Similmente, la selezione naturale ha favorito quei membri di generazioni ancestrali che rispondevano alla radiazione solare acquistando una colorazione più scura. Cioè su tali caratteri ha agito la selezione naturale la quale, vista in tal senso, conferma di non essere affatto casuale.
Né l’uso e disuso sono in grado di spiegare i mirabili adattamenti di un animale al suo ambiente.
Si prenda come esempio la pupilla o diaframma dell’iride, che regola di continuo in modo fine l’apertura dell’occhio, come una macchina fotografica con esposimetro incorporato e computer specializzato veloce. Avendo ben presente tutta questa complessità, ci chiediamo se avrebbe potuto essere costruita in virtù del semplice principio dell’uso e non uso.
La selezione di Darwin, invece, non ha alcuna difficoltà a spiegare ogni benché minimo dettaglio. Una buona vista, accurata e precisa fino ai particolari più insignificanti, può essere per un animale una questione di vita o di morte. Una pupilla capace di chiudersi rapidamente quando l’occhio è investito dal sole può fare tutta la differenza per un animale fra vedere in tempo un predatore e fuggire o essere abbagliato per un istante fatale. Ogni miglioramento, per quanto sottile e nascosto, può contribuire alla sopravvivenza e al successo riproduttivo dell’animale, e quindi alla propagazione dei geni che apportano quel miglioramento.

Allora in che senso le mutazioni sono casuali?

Diciamo con Dawkins che c’è casualità e casualità e molte persone confondono i diversi significati della parola.
Il primo aspetto sotto cui la mutazione non è casuale è il seguente: le mutazioni non si limitano ad accadere ma sono causate da eventi fisici definiti. Esse sono indotte dai così detti “ agenti mutageni “, quali raggi x, raggi cosmici, sostanze radioattive, varie sostanze chimiche e persino altri geni, detti “ geni mutatori “.
Sotto questi aspetti le mutazioni non sono casuali.

Inoltre, cosa più importante, occorre tenere ben fermo nella mente che l’evoluzione è un prodotto congiunto della variazione e della selezione.

Il darwinismo dice che la variazione è casuale nel senso che non è orientata verso il miglioramento, se presa in se stessa; ma non è casuale se unita alla selezione, dato che la tendenza verso il miglioramento che si osserva nell’evoluzione è fornita dalla selezione naturale.
Consideriamo, ad esempio, l’accrescimento del cervello umano che ha avuto luogo negli ultimi milioni di anni della nostra evoluzione. Il darwinismo dice che le mutazioni interessano sia individui dal cervello più piccolo e individui dal cervello più grande, e che fu la selezione a favorire questi ultimi.
Facciamo ora un rapporto con quanto affermato da un mutazionista: egli dice che una tendenza a favore di cervelli più grandi è già insita nella mutazione stessa, che non c’è nessuna selezione ad aggiungersi alla variazione; in sostanza i cervelli divennero più grandi perché le mutazioni avevano una tendenza intrinseca verso la produzione di cervelli più grandi.
E’ ovvio che una tesi del genere rimane non spiegata, e fa come presupporre un’intelligenza all’interno della mutazione stessa, il quale fatto ha del cervellotico. Né un dio darebbe luogo ad un’infinitudine di variazioni per poi cancellarne tante e prediligerne una sola.
Dunque la chiave resta proprio la selezione e ciò conferma che i geni sono una ricetta e non un progetto; vanno avanti solo quelli che la selezione passa al setaccio, come quando io cucino un piatto, seguendo una ricetta, ma cambio gli ingredienti a seconda delle situazioni.
Non facciamo l’errore di considerare che nell’ambiente domestico, noi compresi, vanno avanti e sopravvivono anche gli individui con difetti e menomazioni. Ciò avviene perché siamo proprio noi, con le cure e interventi appropriati, a far sopravvivere tali individui, che in natura sarebbero fortemente penalizzati e, alla fine, non potrebbero sopravvivere.
Ed è proprio questo che conta allo scopo della nostra discussione.
E per coloro che, nonostante ciò, continuano a credere in un dio cosa potremmo dire?
Beh! Dio a questo punto sarebbe un vero e proprio programmatore, che avrebbe dato al suo computer niente altro che un programma base, che poi il computer porta avanti da sé con tutti gli errori e vantaggi del caso. Un tale programma base può essere molto semplice e solo il suo sviluppo meccanico tramite l’accumulazione di lievi differenze porterebbe alla complicazione che vediamo poi in natura.

Le figure che vediamo e che possono essere complicate all’infinito, sono quanto viene fuori dal lavoro del programma del computer; questo è, in effetti, proprio ciò che accade in natura, ad esempio in un albero reale. Lo schema di ramificazione di una quercia o di un melo sembra complesso, ma in realtà non lo è. La regola di ramificazione è semplicissima. L’intero albero finisce con l’essere grande e frondoso solo perché la regola viene applicata ricorsivamente alle punte in crescita di tutto l’albero: i rami formano sotto – rami, poi ogni sotto – ramo forma sotto – sotto – rami e via dicendo. Variazioni minime che, messe assieme, formano qualcosa di molto complicato.
La stessa “ ricetta “ si può applicare a forme di vita più complesse, compreso il mondo animale. Cambio gli ingredienti, ma la logica non è diversa. Non voglio dire, afferma Dawkins, che gli embrioni animali abbiano un aspetto simile a quello di alberi che si ramificano. Tutti gli embrioni crescono però per divisione cellulare. Ogni cellula si divide sempre in due cellule figlie. Inoltre i geni esercitano sempre i loro effetti sui corpi per mezzo di influenze locali sulle cellule e sullo schema di ramificazione della divisione cellulare. I geni di un animale non sono mai un progetto grandioso, un piano per l’intero corpo. Essi, come già detto, sono più simili ad una ricetta che ad un progetto.
Dunque la logica di base è una e, comunque, semplice; ma da questa semplicità viene fuori qualcosa di molto complicato e sorprendente, tanto da diventare un vero rompicapo, un sistema talmente complesso di cui, forse, non scopriremo mai le origini.

 

LA BELLEZZA DELL’UNIVERSO

 

1) L’anestetico della familiarità ( R. Dawkins, da “ L’arcobaleno della vita – La scienza di fronte alla bellezza dell’universo “ )

Dawkins esordisce con questa frase: “ Siamo destinati a morire, ed è una gran fortuna “.
Perché Dawkins dice così? Cosa ci vuol comunicare?
Egli spiega nel modo seguente quanto premesso: la frase significa che molta gente non è destinata a morire perché non è mai nata e, anche chi è nato, spesso e volentieri non ha mai vissuto.
Cominciamo dalla prima parte.
Gli individui che sarebbero potuti nascere sono infinitamente superiori ai nati; essi sono “ assai più numerosi dei granelli di sabbia dell’Arabia “; la maggior parte dei prodotti del concepimento si risolve infatti in un aborto precoce senza che neppure la madre se ne sia mai accorta.
Nascere è una grande fortuna perché significa godere dello spettacolo della natura, perché significa imporci delle domande sulla vita, il che, appunto, significa vivere. La vita è come una lotteria e chi vince è molto fortunato.
Dawkins afferma che tale lotteria inizia prima ancora del concepimento e molto, molto tempo prima di questo stesso. I nostri genitori hanno dovuto conoscersi e anche loro sono il frutto di una serie di conoscenze e di una difficile combinazione di spermatozoi e cellule uovo.
Continua poi Dawkins dicendo: “ Viviamo su un pianeta che è quasi perfetto per la vita: né troppo caldo né troppo freddo, illuminato da un sole benevolo e bagnato da fresche e dolci acque. Un pianeta che … è un tripudio di piante e dorati raccolti … . Di fatto, in determinate regioni un paradiso lo è davvero, sotto tutti i punti di vista. Quante sono le probabilità che un qualsiasi pianeta abbia queste gradite virtù? Anche volendo essere ottimisti, la risposta è meno di 1 su 1.000.000 “.
Dawkins a questo punto ci porta un esempio, che io riassumo in questi termini: immaginiamoci un’astronave all’interno della quale viaggino, ibernati, degli esploratori che siano alla ricerca di un pianeta in cui ci sia vita; potrebbe trattarsi di una missione disperata volta a salvare la specie prima che un meteorite fatale, come quello che colpì la terra all’epoca dei dinosauri, colpisca di nuovo il pianeta. Gli astronauti si sono sottoposti all’ibernazione, tristemente consci delle scarse probabilità di imbattersi in un pianeta favorevole alla vita. Se infatti è ottimistico pensare che solo 1 mondo su 1.000.000 sia adatto alla colonizzazione e che occorrono secoli per viaggiare da una stella a quella successiva, si capirà quanto sia improbabile che l’astronave trovi ciò che va cercando.
Ma poniamo che i nostri astronauti siano fortunati; allora, dopo un lungo sonno durato circa 1.000.000 di anni, si troveranno di fronte ad un pianeta fertile che pullula di verdi pascoli, di ruscelli, cascate scintillanti e creature viventi. Stupefatti ed estasiati ammirano questo mondo e poco avvezzi come sono a simili paradisi, quasi non credono alla loro fortuna e ai loro sensi. Una simile fortuna, infatti, capita molto di rado.
Eppure non è proprio questo che è capitato a noi? Ci siamo svegliati dopo un sonno durato centinaia di milioni di anni, e abbiamo sfidato improbabilità astronomiche. Certo, non siamo arrivati qui con un’astronave, ma con un parto e non abbiamo colonizzato all’improvviso un intero mondo, ma abbiamo accumulato consapevolezza a poco a poco; tuttavia il fatto che apprendiamo la realtà per gradi anziché scoprirla in un colpo solo non ci impedisce di trovare in essa infinita meraviglia. Eppure c’è tanta gente che resta indifferente e non prova meraviglia di fronte a tanta bellezza, né si reputa fortunata di esistere.

E qui interviene o dovrebbe intervenire tutto il valore della scienza, la quale sola è in grado di farci comprendere la bellezza della natura, la sua interna armonia, le leggi del creato, la complessità della sua struttura. E proprio per questo essa è anche la sola in grado di farci meditare sulla vita in genere e sulla nostra stessa esistenza.
Dawkins, a proposito di questo argomento, ci dice che: “ qui, … , sta la risposta più efficace a tutti quegli individui gretti e meschini che si interrogano in continuazione sull’utilità della scienza “. E a tale proposito riporta un aneddoto la cui paternità viene attribuita a Michael Faraday.
Quest’ultimo, a chi gli aveva domandato a cosa servisse la scienza, avrebbe risposto: “ Signore, a cosa serve un neonato? “. E’ ovvio che Faraday voleva dire che un neonato lì per lì potrà anche non servire a nulla, ma serba comunque un grande potenziale per l’avvenire. Come la scienza appunto, le cui ricerche lì per lì possono anche sembrare inutili, ma col tempo rivelarsi molto utili, con una potenzialità in ogni senso.
Dawkins aggiunge da parte sua quanto segue: “ io però amo pensare che intendesse anche dire: a che serve mettere al mondo un bambino se si pensa che l’unica sua funzione sia lavorare per vivere? Se si giudica ogni cosa in base alla sua utilità, in base a quanto serve per farci mantenere in vita, l’unica nostra prospettiva diventa quella di una futile circolarità. Occorre un valore aggiunto; occorre destinare almeno una parte dell’esistenza a – vivere -, non solo a lavorare per garantirsi la sussistenza … . Per la scienza vale lo stesso discorso. E’ chiaro che “ garantisce un attivo “, è chiaro che è utile. Ma non si riduce alla mera utilità “.
Dunque, è certamente triste morire, ma è tanto più triste senza essersi chiesti il motivo per cui siamo nati.