PREFAZIONE
Si intitola “Le mie stagioni”
la quinta raccolta di poesie di Bruna Coscini. Come il susseguirsi
ed il mutare delle stagioni, si susseguono e mutano le emozioni,
le delusioni, i dolori, le gioie, le speranze, che Bruna cattura
e fissa, con grande bravura, nelle innumerevoli pagine dei suoi
quaderni. Nella sua scrittura la poesia è pulsazione,
naturale ritmo interiore trasferito alla pagina.
Il libro avrebbe potuto chiamarsi anche “Dall’alba
al tramonto” – altro titolo che Bruna aveva suggerito
e che utilizzeremo come sottotitolo. «Il tempo passa e
la clessidra filtra i minuti, le ore, i giorni» scrive,
infatti, in una breve ma intensa poesia «Dobbiamo riflettere
il momento magico per afferrare che la vita è un miracolo».
Ed ancora: «Non resta che la speranza che all’alba
pervade per iniziare il giorno; la speranza che poi viene ferita
e la sera è quasi moribonda. Poi, con l’alba, rinasce
e speri ancora… Così sarà sino al tramonto
del tempo». Sta in questi versi il senso della nuova raccolta
che contiene solo una piccola parte delle innumerevoli poesie,
trascritte, con precisione, in quello che chiama il suo “quadernetto”
e che, con Grazia Viaggi, educatrice della struttura, abbiamo
avuto difficoltà a selezionare.
Se ci poniamo in ascolto dei versi, ecco che l’apparente
ingenuità appare molto spesso saggezza, capacità
di giungere al “cuore” pulsante dal quale si dipartono
l’intensità delle emozioni, il transito dello sguardo
sul fugace viaggio terrestre, con il ritorno circolare di ciò
che da sempre ne connota le tappe: le impressioni e le riflessioni
sul vissuto; i volti, le emozioni, i ricordi smorzati dall’età.
Ogni orpello intellettualistico è lontano dallo sguardo
sereno e alto di Bruna.
Ha ragione Leonello Rabatti quando – commentando, in un
suo scritto, il quarto libro di Bruna, “ Il silenzio della
solitudine ”, del quale la nuova raccolta rappresenta la
coerente continuità – afferma che nella poesia di
Bruna Coscini vi è una naturale capacità di condensare,
con estrema nitidezza, il dettato interiore, il moto spontaneo
della sua profonda e limpida sensibilità. All’apparenza
– aggiunge, con un’affermazione che si attesta, in
pieno, anche alla presente raccolta – la semplicità
dell’espressione, non lasciando permanere alcun “ residuo
” interpretativo al lettore, potrebbe essere percepito come
un limite della qualità letteraria. In realtà,
ad un lettore attento e non superficiale, questa semplicità
appare legata alla purezza e trasparenza dell’espressione,
per la quale il “dire”, intimamente fuso nella ricchezza
umana della persona, affiora e sgorga spontaneamente nelle cristalline
geometrie delle parole.
Sorprende la capacità di Bruna di cogliere l’attualità,
di esaminare
i fatti che si svolgono all’esterno della struttura dove,
da anni, trascorre la sua vita. La colpiscono le sofferenze dei
disperati che clandestini cercano di raggiungere una terra che
dia loro un futuro e che, invece, vengono ricacciati o fatti
miseramente morire. Ma ricorrente, nelle sue poesie, è
l’amarezza per il degrado politico e sociale del Paese,
che commenta con grande lucidità anche nei colloqui che
abbiamo quando vado a trovarla. E trasforma le amarezze in liriche
che sembrano liberarla dalle sofferenze che l’indifferenza
ed il degrado le producono.
Bruna ha una grande fede, nella vita e nella natura umana, che
le genera il rinnovarsi della speranza. Così può
scrivere e concludere in una sua bella poesia: “Spicchi
di sole”, che è anche il titolo che abbiamo dato
ad un giornalino, realizzato con i ricordi degli ospiti della
struttura: «… Per reagire a tanto,/ ci ha stimolato
a cercare/ nelle pieghe del passato,/ le memorie più liete;/
se pur sfocate dal tempo/ riusciamo a ricomporre/ il mosaico
di antiche storie,/ dove struggenti immagini/ tornano con suoni
e profumi,/ incisi nella mente/ da stupendi ricordi/ di lontananze
estreme,/ dando un senso a chi/ ci segue nel cammino,/ perché
la vita non è solo grigiore/ ma ha pure le stagioni del
sorriso/…».
Tornando al condivisibile commento di Leonello Rabatti, è
possibile affermare che la fede che ritroviamo nelle poesie di
Bruna non scaturisce dalla passiva accettazione di un dogma religioso,
ma che è cresciuta nell’humus di un’intelligenza
profonda delle cose, di una visione positiva dell’essere
nel mondo ed in cui la stessa condizione di quella che lei –
in una poesia e in modo spregiativo, per rafforzare le negatività
– chiama “vecchiezza” e la morte sono percepite
come compimento, ricongiunzione all’eterno.
Un raro esempio di bellezza spirituale e di libertà.
Ado Grilli ( Arci e Rete Radié
Resch ) |