La Pagina di: Franca Molinaro

 

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Molinaro Franca ALMANACCO DELLA GRANDE MADRE,

Proverbi agricoli e meterologici, aneddoti, storia e storie,

p. 124 ill., € 10,00 A 5 Bross. Collana Saggi & Studi n. 28 -2014.

Franca Molinaro.
Giornalista, etnografa, poetessa, scul-trice, pittrice, collabora con quotidia- ni e riviste per la ricerca antropolo-gica. Direttrice del Centro di ricerca tradizioni popolari “La Grande Ma-dre”, ha creato e cura una serie di eventi legati alla Grande Madre e un concorso nazionale di poesia “Echi di poesia dialettale”. Nella sua ricerca etnobotanica ha censito oltre mille-cento piante tra eduli, medicinali, velenose, dalle Alpi alle isole, catalogandole con criteri scientifici. Cura il blog del Centro di ricerca www.lagrandemadre.wordpress.com.
Collabora con enti, scuole e comuni per il recupero della tradizione, la salvaguardia dell'ambiente e la valo-rizzazione del territorio attraverso conferenze, seminari, ed altre attività.
Pubblicazioni:
“Il sole”, Edizioni Delta3, silloge poetica; “Morroni: passato e presen- te, storia e tradizioni”, Edizioni Delta3, storia e tradizioni locali. “Invisibile diaframma”, Edizioni Delta3, silloge poetica; “Misteri Sacri del venerdì santo”, in Mirabella Eclano Ed., riti del venerdì santo; “Frammenti canori della civiltà irpina” Edizioni Delta3, raccolta di canti popolari; “Il volo di Icaro”, Delta3 Ed., romanzo; “Lo perazzo”, Delta3, silloge dialettale; Proverbi ternari dell'entroterra appenni-nico”m Edizioni il Papavero, Monocalzati (AV), 2011, saggio e testimonianze sulle presenze pa-ranormali; “Menesta asciatizza, a tavola con le piante spontanee dell'Appennino Meridionale,” erbe ricette, storie e tradizioni 216 foto a colori, La Bancarella, 2011; “Le feste del grano in Irpinia” Rivista Storica del Sannio, saggio sulle tradizioni e i riti religiosi legati al grano.
Coautrice:
“Nel cerchio del diavolo”, cu-ratrice delle illustrazioni e della sezione dedicata alle presenze paranormali. “Bonito e i suoi figli nel mondo”. Poligrafica Borrelli. Cura le antologie del premio di poesia dialettale.

 

 

 

 

ALMANACCO DELLA GRANDE MADRE,

Proverbi agricoli e meterologici, aneddoti, storia e storie,

 

Dalla Prefazione:

Gea fu la prima divinità che, secondo Esiodo, si differenziò dal Chaos originario; spinta da un potente atto d’amore, concepì da sola il figlio Urano, ed alla sua unica fertilità furono attribuite tutte le forme vitali. Nella religione orfica c’era una divinità femminile, la Notte nera, da cui si generò il mondo.
Gea, la Terra, dunque, è il grande utero sacro dal quale nasceva la vita scaturita dall’energia originaria che, ancora, si reitera. Ella è una genitrice premurosa che non abbandona i figli ma li sostiene nel corso della vita per riprenderli al termine del viaggio terrestre trasformandoli, magicamente, in nuove forme, nuove particelle microscopiche, atomi di azoto, aminoacidi, molecole di metano, e assimilando il soffio vitale in dimensioni a noi sconosciute.
Legata alla vita e alla sua origine è la spiritualità dell’uomo e il concetto di divinità, concetto inscindibile dalla Terra Madre feconda, per questo la religione primitiva è quella della Grande Madre.
Forse nacque proprio allora quel sillogismo secondo cui la terra è madre e la donna è terreno fecondo in cui seminare: la donna partoriva, si riproduceva come dal seno della terra nascevano altre creature utili, la terra allora doveva essere femmina. Le veneri steatopigie, rinvenute in diverse parti del mondo, sono una testimonianza evidente di un binomio indissolubile, purtroppo smarrito nell’era contemporanea.
Nel binomio terra-donna, le due entità si convalidavano a vicenda, l’elemento in comune era la fertilità che, sacralizzata, valorizzava la figura femminile e la terra rappresentandola in forma antropomorfa come femmina feconda.1
L’alba dell’umanità, dunque, guarda alla donna con profondo rispetto e adorazione, come all’unica detentrice del segreto della vita.
Inoltre, secondo varie teorie è stata la donna, più legata al territorio e addetta all’allevamento della prole ad imparare a riconoscere il mondo circostante, le altre forme di vita, le piante commestibili e le loro proprietà. Così, per secoli, la donna mantenne quel rapporto strettissimo e sacro con la Grande Madre con la quale condivideva il miracolo della vita.
Erano quelli i tempi d’oro dell’umanità in cui non si peccava di hybrys, non si profanava il ventre sacro e non se ne scrutavano i misteri. Le sorgenti erano protette da ninfe e sgorgavano limpide per la gioia degli uomini e degli armenti. Gli alberi erano protetti dai geni e tutti ne avevano rispetto. Tutto quanto era custodito nel suo ventre era sacro e, seppur fosse un alito pestifero, quale quello di Aletto, nella spelonca dell’Ansanto, era rispettato e adorato. Tutto quanto era sotto la superficie rappresentava le forze ctonie, le energie telluriche, divinità per certi versi malvagie ma anche necessarie. Tutto quanto era in superficie e nell’aria era oggetto di attenzione. Ogni cosa, ogni fenomeno era osservato con gli occhi dello spirito perché la conoscenza scientifica era ancora lontana. Tutto questo per milioni di anni, fino a costituire un codice capace di guidare l’uomo nelle sue azioni quotidiane. La trasmissione, dapprima orale, fu registrata, per la prima volta da Esiodo4 nel trattato Le opere e giorni. Fu il primo almanacco del contadino ante litteram.
A questo seguirono tutti gli almanacchi della storia arricchendosi, secolo dopo secolo, dell’esperienza dei contadini, diretta e continua. Aristotele5, con Metereologica, diede alla materia un assetto scientifico, per quanto possibile, lasciando il segno nella cultura popolare per il resto dei secoli.
Arato di Soli6, alla corte di Antigono, circondato da una raffinata comitiva di studiosi, rivisitò il trattato di Eudosso di Cnido Lo specchio, e scrisse il poema I fenomeni e i pronostici, frutto di studio e fede. Il poema fu poi ampoiamente ripreso ed arricchito da Virgilio nelle Georgiche, un testo diviso in quattro libri dove sono raccolti i consigli per tutti i lavori dei campi, le previsioni del tempo, i principi fondamentali di zootecnia.
Plinio il Vecchio con la Naturalis Historia è uno degli autori più studiati dell’antichità per via della gran quantità di notizie attinte dai suoi predecessori. Fu Sant’Ambrogio con l’Exameron a tradurre tutta la cultura classica in chiave cristiana.
Dopo di lui molti scrittori e poeti si cimentarono in almanacchi e lunari perdendo però, quella connotazione di autentico sacro che solo i classici possedevano. Costoro sapevano che ogni segno, ogni fenomeno, è parte di un ingranaggio; un meccanismo che regola i tempi dei lavori agricoli in un mondo in cui ogni cosa ha una corrispondenza, ogni cosa vive collegata al tutto attraverso profonde, intime connessioni.
Questa visione arcaica sopravvissuta nella cultura subalterna, è una strana commistione di fede, credenza, esperienza empirica in cui natura e divinità si sovrappongono e si confondono. Dio è la speranza che manda la pioggia e la pioggia arriva se l’uomo scalzo e ricco di fede va in preghiera a un luogo sacro. Tutto si svolge nella sua volontà e domani si farà il tal lavoro Se vuole Dio, allo stesso tempo si eviterà di istigare la sua ira, un’ira ascrivibile più a JHWH, lo spirito collerico, che al Dio Cristiano.
Dal punto di vista pratico, i lavori agricoli e le previsioni del tempo hanno uno stretto inscindibile rapporto; dalla corretta interpretazione dei segni si può ottenere un buon raccolto indispensabile per la sopravvivenza della famiglia contadina. Nell’almanacco agricolo le ricorrenze calendariali sono una sorta di promemoria oltre che occasione di indagine sul futuro prossimo. La cultura contadina non è fatta di libri e trattati ma di memoria, a questa è affidato ogni aneddoto, storia o regola di vita. Sicuramente, il proverbio con le sue rime aiuta a memorizzare i momenti e i lavori connessi, i rischi e i benefici di una tal situazione climatica. Nella mia stessa mente, attendendo alle masserizie, tornano balenanti alcuni impegni abbinati al santo del giorno.
I vari Santi e feste Consacrate che si susseguono nel corso dell’anno, dettano i lavori da eseguire nei campi o in cantina, come vestirsi o come comportarsi in genere, prevedono il tempo per periodi più o meno lunghi.
Le calende prevedono il tempo per tutto l’anno, e sono contemplate in tutta Italia con criteri differenti. Nella meteorologia popolare corrispondono al pronostico a più lunga scadenza, gli altri pronostici contemplano un tempo massimo di quaranta giorni. Le calende sono di ventiquattro giorni posti a cavallo del solstizio invernale, con Natale nel mezzo. I dodici giorni che precedono il Natale, questo escluso, corrispondono alla prima quindicina dei mesi dell’anno nuovo, contando da gennaio a dicembre; i dodici giorni che seguono il Natale corrispondono alla seconda quindicina dei mesi contando in senso inverso, da dicembre a gennaio.
Il contadino osserva il cielo e trae pronostici per l’anno a venire, inoltre organizza i lavori secondo tali previsioni. Ad esempio, se il 13 dicembre è bel tempo, e il 6 gennaio piove, significa che gennaio sarà bel tempo nella prima quindicina ma cattivo nella seconda. L’agricoltore si affretterà a potare la vigna, a ripulire i castagneti, i querceti e i valloni, col bel tempo dei primi di gennaio e starà in casa col cattivo tempo.
In questa ricerca, i proverbi raccolti sono scritti in corsivo, mentre spiegazione e traduzione sono in carattere corrente. La maggior parte dei proverbi proviene dal cuore dell’Appennino Campano ma ve ne sono altri provenienti da tutta Italia, quest’ultimi hanno la regione riportata tra parentesi.
Paragonati tra loro, hanno molto in comune, dalla Sicilia alle Alpi, sono simili le previsioni e le raccomandazioni.
A differenza dei proverbi in cui entra la morale, quelli agricoli e metereologici sono saggi e miti, non v’è traccia di misoginia gratuita espressa, solitamente, in buona parte della letteratura popolare.

«Si iocca re iennaro se ienghie lo granaro, frebbaro curto e amaro, marzo pazzarello viri lo sole e piglia lo ‘mbrello, abbrile ogni goccia ‘no varrile, maggio maggiore re tutti, giugno la fauci ‘mpugno, luglio lo mese re la metenna, austo l’uva rimette lo musto, settembre lo sole frisco e splendente, ottobre ci leva ra sott’a l’ombra, novembre lo mese de li muorti, dicembre janco e stanco

 

 

 

 

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9788866150244 Molinaro Franca, Menesta asciatizza. A tavola con le piante spontanee dell'Appennino Meridionale, p. 152 ill. F.to. 207 Col.-37 b/n € 25,00 Bross. 21x29 Saggi&Studi n. 10 2011.

Estratto menesta asciatizza

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Menesta asciatizza. A tavola con le piante spontanee dell'Appennino Meridionale

Un testo sulle erbe e non solo


Franca Molinaro, giornalista e scrittrice, ha realizzato un libro su 115 erbe utili dell’Appennino Meridionale, con 114 ricette. Il lavoro tratta anche i funghi, i pesci di fiume, le rane e le lumache.

Il testo è corredato di 216 foto a colori più 37 foto b/n.
Per ogni settore vengono riportate le ricette regionali e quelle proprie dell’autrice sperimentate in cucina e fotografate. Il testo è arricchito di foto dei particolari tipi di territorio, flora e fauna.
Le piante eduli sono riportate in ordine alfabetico dei nomi comuni, corredate di nome scientifico e famiglia botanica. Per ogni erba è riportata la proprietà edule e officinale, notizie storiche e applicazione tradizionale reperita sul territorio, storie e note dalla tradizione, habitat e habitus, foto del fiore o della pianta, per poterla riconoscere. Alcune ricette con erbe selvatiche sono state realizzate, preparate, e mangiate personalmente dall'autrice.
Il testo è introdotto da due medici esperti in nutrizione.
La Molinaro ha in cantiere altri testi sulle erbe officinali e velenose oltre a un catalogo di oltre 1000 piante spontanee dell’entroterra.

PREFAZIONE

Questo libro nasce dalle zolle della nostra terra. Non sarebbe neanche esatto scrivere questo libro perché con la parola libro si corre il rischio di costringere su carta, e con l’inchiostro, tutto il meraviglioso Creato.
La nostra osservazione delle cose della Natura si è andata, negli anni più recenti, restringendo ai fenomeni naturali che da sé, con forzata evidenza, più si impongono nella nostra vita: il freddo, il caldo, la pioggia, il ven to, se fastidioso, il tuono e la saetta.
Le tante, infinite cose che ci circondano si sono infatti ridotte al verde dei campi primaverili, al nero della notte, interrotto solo dalla luce abbagliante di lampioni e di fari delle auto, al senso di soddisfazione che si ha nel bere un bicchiere d’acqua quando la sete si fa sentire. Altre cose le troviamo distrattamente, a tavola, nel piatto. Rosso del pomodoro, verde del peperone. I sapori ce li impone la ristorazione di massa o, più affettuosamente per gli ancora fortunati, la cucina forse della mamma, più facilmente della nonna e, più difficilmente se è giova- ne, della moglie.
Tante cose, tante immagini, tanti soggetti ed oggetti di vita, prima imperiosamente presenti, spesso indispensabilmente, nella vita nostra e dei nostri genitori, e di lì a risalire, sono ora sbiaditi. Come se una improbabile evoluzione della vita avesse avuto la conseguenza di portarci via un po’ tutto il mondo nel quale eravamo immersi fisicamente. In quel mondo eravamo immersi con la
nostra anima, dono di Dio, per la quale tutto era compiuto e tutto veniva messo in opera per realizzare il suo fine mediante la soddisfazione, spesso dolorosa, delle sue necessità.
Addirittura è scomparso dalla nostra vista il fiume, la jommara. ‘Na vòta sembra la infinitamente ripetuta dizione di tutto quello che faceva fisicamente, e non solo, parte di noi e che ora non c’è più.
Ma Franca con molta sensibilità e, forte della speranza delle cose che sempre ci sono e sempre ci saranno, ci riporta alla certezza di quello che è: bando alle tristezze, a ‘na vòta, perché la natura è lì, il Creato, come immediatamente disceso dalle mani di Dio, è tutto sotto i nostri occhi. Non lo sappiamo vedere? E allora è necessario che ci riappropriamo del mondo che ci circonda. E questo mondo che è intorno a noi, che è sotto i nostri piedi e sopra la nostra testa è infinitamente ricco di tante e tante cose, belle ed anche ricche di sapore: basta saperle riscoprire. Basta saperle guardare.La jommara è scomparsa dalla nostra vista, è vero, ma perché esce dai nostri rubinetti, altre cose sono state trasformate per la nostra utilità. Non mangiamo più lo pane jonno, e quasi guardiamo a lui con toccante nostalgia, ma dimentichiamo, non sappiamo che non era solo jonno, ma anche scuro
e duro perché la farina era un miscuglio di carrube, fave, legumi e tanta crusca, poco grano e
granone. Ora il pane è per tutti profumato e fra grante e non fa male come, alla lunga, quello di solo granone e civaie varie. Franca, con questo suo libro, non potendolo fare personalmente con tutti, ci porta per mano a guardare quel lo che è intorno a noi, così com’è. E così ci fa riscoprire quelle tante cose, quelle apparentemente misere ma ricchissime piantine, quegli animali che cerchiamo puliti e tagliati al negozio, e che ci meravigliamo oramai di scorgere, se stiamo silenziosi ed attenti, dietro un cespuglio o tra l’erba. Ed ha la sensibilità di ricostruire per noi e con noi quel ciclo vitale che ci rende il tutto utile alla nostra vita, piacevole ai nostri gusti. Franca ci fa anche riscoprire tanti sapori che si erano persi con i surgelati ed i sofficini, sapori che sono da riscoprire ed a cui possiamo riprendere abitudine, sensibilità.Nella valle del Calore conserviamo diffusamente tutt’ora un sapore del tutto particolare, quello del puliejo. Quel gusto è restato, oltre che in bocca, nel nostro cuore: difficile fare l’emigrante, che è il mestiere più diffuso della popolazione della zona, senza avere con sé la piantina del puliejo. O almeno desiderare di averla. Anche se, quando presentiamo ad amici non della terronia, il sapore del puliejo nel brodo rosso che condisce la pasta, restiamo quasi
sempre delusi dello scarso apprezzamento. Ma … peggio per loro!È partendo da quel sapore tutto particolare del puliejo che possiamo riappropriarci dei gusti smarriti: a quel lo del puliejo aggiungeremo altri sapori da ritrovare, ritrovati. Un po’ come un
pianoforte che ha perso le corde di alcune scale: quando si accomodano si riacquistano sensibilità
dimenticate. Sono quasi infinite le nostre cose che Franca ci indica spiegando i luoghi dove cercarle, con un po’ di tempo, perché è in primo luogo del tempo che dobbiamo riappropriarci. Dalle orchidee alla borragine, dall’erba dell’asparago al cardo, alla timida capelvenere: quanti tavoli e quanti . Altari possono rallegrarsi delle nostre piante, dei nostri fiori.
Una cosa emerge, scuotendoci alla distrazione della Tv e delle réclame: intorno a noi abbiamo il bello della natura. E l’abbiamo come milioni di galeotti dell’ufficio, del bus stracolmo, delle sirene della fabbrica, dei casermoni di città, dei semafori e dell’orario, oramai non hanno più neanche nel ricordo. Infatti quei galeotti della civiltà metropolitana vivono la natura la sera, per televisione o con le fantastiche immagini di giornali che descrivono quello che, loro, non hanno più la possibilità di vedere.
Noi, la Linea Verde l’abbiamo sotto i nostri piedi e ce ne siamo dimenticati, pronti solo al lamento per quel che fu … ma che è sempre lì e ci aspetta. Franca ci fa vedere che basta guardarsi attorno, già dall’uscio di casa.Lo mezzojurn’ può diventare un po’ speciale, poi, se abbiamo saputo raccogliere un po’ delle cose che la Natura ci offre ma se sappiamo cercarle: menesta sciatizza, in primo luogo. Sono sapori nuovi, differenti da quelli obbligatori del dado knorr e dei peperoni di serra. Altri sapori, altre
sensazioni del palato.Se sappiamo reimmergerci nel Creato, e Franca ci indica pazientemente ed amorevolmente come e dove, sapremo ricreare quell’insieme di sensazioni che ci possono riportare impercettibilmente, senza tanta cerebralizzazione, ad una maggiore consapevolezza che siamo uomini, nati dalle mani di Dio. Non strumenti di una società di soli consumi.Dalle zolle della nostra terra Franca Molinaro Grieco ci fa affiorare e ci riporta a sentirci in un tutt’uno di sensazioni primitive ma essenziali dove la primitività è certezza di essere naturalmente uomini, persone, figli della Trinità creatrice.

Dott. Aldo Grieco, Grosseto, 23 maggio 2010.

 

 

 
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